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 2015  agosto 27 Giovedì calendario

Lady polvere è morta di cancro, era l’immagine simbolo dello choc. Marcy Broders, la donna sopravvissuta all’11 settembre, diventata famosa per quella foto che la ritrae, immobile e sbigottita, ricoperta dai detriti del World Trade Center, come fosse un calco di Pompei, è stata uccisa da un tumore allo stomaco. Forse a causa delle polveri respirate quel giorno, ma anche da una vita poi distrutta da alcol e droghe. Perché lei non si è mai ripresa

Una statua sepolta nella cenere guarda dritto in camera con un misto di incredulità e soddisfazione: è viva, è ancora viva. Quindi non è una statua? No, è una donna che si è schivata in tempo prima che il mondo crollasse, come nel più crudele dei cartoni animati. Dopo lo scatto si aggirerà allibita nel fumo ancora per qualche minuto e poi si avvierà a piedi verso casa aggiungendosi a quel corteo silenzioso che si è formato spontaneamente su Church Street, simulacri di uomini e donne che salgono verso Uptown coperti di cenere come lei, e come lei non ancora del tutto certi di essere sopravvissuti. La foto di quella donna – per la cronaca Marcy Borders, morta di cancro lunedì a quarantadue anni, forse anche a causa delle polveri respirate quel giorno, una vita poi distrutta da alcol e droghe – è stata da subito il ritratto del nostro stesso sbigottimento, intendo di noi che abbiamo seguito lo spettacolo alla tv, il primo Colossal con gente vera – morti, feriti, superstiti miracolati, tutto vero – in diretta dal centro di New York City, e ci telefonavamo mentre stava accadendo, rilanciando in un planetario passaparola quella specie di stupore confuso da una dose crescente di nausea che solo col passare dei minuti sarebbe diventato autentico orrore.
Ora, se spiego l’11 settembre alla mia nipotina di dieci anni, non batte ciglio, le sembra tutto perfettamente possibile: quell’evento ha inaugurato, insieme al ventunesimo secolo, una nuova forma di percezione del mondo, ora non esistono più cose assurde, l’idea stessa di assurdo ha perso senso.
Prima gli aerei non entravano nei grattacieli, i maestri di scuola non si vestivano di tritolo per farsi brillare sugli autobus, le presidenti della Camera non diventano conduttrici televisive, nella rete non c’era un kit fai-da-te per abortire, in tv non c’era un programma dal vivo con gli intubamenti, le amputazioni, gli svuotamenti dei grandi obesi, né esisteva un gruppo di terroristi che organizzasse sofisticatissime esecuzioni capitali da girare con tre quattro telecamere per poter confezionare snuff movie di matrice religiosa adeguati agli standard delle produzioni americane. Prima delle Twin Towers, tutto questo non sarebbe parso possibile. Oggi sì.
Marcy Borders sta lì immobile a guardarci, come un calco di Pompei. La sua foto resterà per sempre a segnalare la più nitida delle soglie epocali: prima e dopo l’incredibile. In Falling man, il romanzo forse più sofferto e insieme doveroso di Don Delillo, c’è un artista performer che si appende a testa in giù nei tunnel della metropolitana e in altri luoghi pubblici vulnerabili, indossando una camicia bianca. Il suo scopo è riattivare nella memoria involontaria di chi lo incrocia le immagini degli impiegati delle torri che si gettavano dalle finestre in fiamme. Una camicia bianca, e il terrore torna a schizzare nelle vene insieme all’adrenalina. Un sermone breve quanto un battito di ciglia, un lampo sul finestrino della metro: non dimenticare. Sarebbe bello che ora qualche artista di strada facesse la statua vivente di Marcy Borders.