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 2011  aprile 10 Domenica calendario

L’amore di Cavour per Bianca Ronzani

Scapolo impenitente per «ragioni di Stato», maritatissimo con la patria e con il re, Camillo Cavour non per questo era uno stinco di santo. Nonostante il fisico, piccoletto, grassottello, un filo di barba a contorno del faccione roseo, occhialini tondi, il conte era un seduttore impenitente. Elegante, distinto, cortese nei modi e allegro di natura. Amante della mondanità e del gioco, ma ancor più delle signore. Che fossero particolarmente belle non gli importava. L’importante è che fossero intelligenti, colte, raffinate. E soprattutto sposate. Determinato a mai accasarsi, Cavour scansava con consumata abilità ogni fanciulla nubile che gli veniva presentata nella speranza di catturare quello, che, se non un adone, era un ottimo partito. Uno degli uomini più potenti, ricchi, famosi del regno di Piemonte e poi d’Italia. Invano. Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, nobile dei marchesi di Cavour, conte di Callarengo e di Isolabella, di una donna al fianco non voleva saperne. Molto meglio delle amiche comprensive, pronte ad accoglierlo e coccolarlo nelle brevi pause tra un affare di Stato e l’altro. Dame del bel mondo, come Clementina Guasco, Emilia Pollone, la parigina Melanie Waldor, già amante di Alexandre Dumas... Tra tutte però due sole furono quelle capaci di fargli battere davvero il cuore. Il primo amore e l’ultimo. La passione giovanile per Anna Giustiniani, patriota genovese, sposa del marchese Schiaffino, morta suicida a 30 anni per impossibilità di continuare la relazione con il giovane Camillo. E la passione matura per Bianca Berta Sevierzy maritata Ronzani. L’ultima fiamma. La più inattesa e violenta. Come testimoniano 56 lettere inviatele da Cavour, le sole superstiti di un ben più corposo carteggio, ora raccolte sotto il titolo Amami e credimi dalle edizioni Archinto. Diario di un legame che, iniziato nel 1856, durò fino alla morte dello statista, a 51 anni, nel 1861. Cinque anni di incontri segreti, di missive e bigliettini, in un crescendo amoroso, soprattutto da parte di Cavour, per la prima volta alle prese con una donna diversa da tutte le altre. Con i salotti e la nobiltà Bianca infatti non c’entrava nulla. Lei non era una dama ma una ballerina. Magiara, forse prussiana... Di dubbia reputazione quanto di conclamata bellezza. Concetto su cui è bene venir a patti. Lucio Villari, che cura la bella prefazione, racconta come viene descritta in un libello d’epoca: «Capelli nerissimi, naso greco, denti piccoli e bianchi». Età, 28 anni. «Ma ne dimostra 20 o 22». Ritratto lusinghiero, che lascerebbe spazio alle fantasie più alate se non lo confrontassimo con il carboncino che la ritrae e la rivela con le gote pienotte e un po’ cascanti, lo sguardo languidamente bovino, un’ombra di peluria sul labbro superiore. Prova evidente e impietosa di come il concetto di bellezza muti con i tempi. In quelli di Cavour, Bianca evidentemente spopolava. Ad alimentarne il fascino, la sua fama di avventuriera dal passato oscuro e dal presente ambiguo. Suo marito, Domenico Ronzani, triestino, anche lui ballerino, mimo e impresario teatrale, era uomo di alterne fortune, per di più tendenti al basso, abilissimo nel piantare debiti, imbastire truffe, spillare quattrini. E quando non ci riusciva lui, mandava avanti la moglie. Fu così che madame Ronzani andò a bussare alla porta di Cavour, allora ministro delle Finanze, implorando sovvenzioni per le casse vuote del teatro coniugale. E il conte, turbato dalla trepida supplice, aprì i cordoni della borsa. Ciò nonostante, il Ronzani fece bancarotta e fu costretto a battersela di gran carriera in Sud America. Bianca invece rimase a Torino. Separazione provvidenziale. Campo libero per i due, nel frattempo già amanti. Per Bianca, Cavour acquista una villa sulle colline torinesi. Ma la bella ci sta poco. All’eremo campagnolo preferisce la vita brillante, le serate a teatro, i viaggi, le terme. Sempre senza Camillo. La relazione è segreta, e tale deve restare. D’altra parte anche lui è sempre in giro. Per lenire la lontananza le scrive quasi ogni giorno. E se lei ci mette più di 48 ore a rispondergli, subito si allarma, immagina che non lo ami più, che dedichi ad altri le sue attenzioni. Dietro tenere frasi traspare la gelosia. Non del tutto ingiustificata visto che Bianca civetta volentieri. Con il principe Napoleone ma anche con il suo aiutante di campo... Camillo sa, inghiotte amaro, la riempie di regali, le allunga sostanziose somme. In cambio chiede che la sua Bianca, «la più bella di tutte», gli apra le braccia, lo copra di baci, ascolti le sue stanchezze, la sua paura di una prematura vecchiaia causata da «dolori morali d’impareggiabile amarezza». Un po’ in italiano, un po’ in francese, scorrono pene e tormenti, furori e desideri. I più intensi non li conosceremo mai. Alla morte di Cavour spariscono il suo diario e le lettere inviategli da Bianca. In cambio di una sostanziosa cifra, Ronzani rinuncia alla pensione che Camillo le aveva lasciato e consegna le lettere dello statista. Ma anni dopo, nel 1894, si sparge notizia che a Vienna sono in vendita 24 missive d’amore di Cavour. Costantino Nigra, fedele segretario del conte, si precipita, le legge, sobbalza. Quelle lettere «scritte con imprevidente abbandono, piene di particolari del carattere più intimo farebbero torto alla memoria dello statista». La risposta del re è: comprarle subito. Nigra paga al collezionista mille lire (circa 10 mila euro d’oggi) e le brucia. Quanto a Bianca, la ricca liquidazione le dura poco. Con un suo nuovo amante rumeno vende la villa regalatale da Cavour e se ne va a Parigi. Due anni dopo morirà in miseria.