Corriere della Sera, 27 agosto 2015
Le abitazioni di lusso sono 74mila, di queste 44mila sono adibite a prima casa. Il record è a Genova ma anche Firenze, Napoli e Milano non scherzano. La decisione del governo di abolire l’imposta sulla casa per tutti, anche per ville e castelli, continua a tuttavia far discutere nella stessa maggioranza. Il taglio vale circa 3,6 miliardi di euro
Vale circa 80 milioni di euro l’abbuono dell’Imu e della Tasi che scatterà dal 2016, con la cancellazione delle imposte sull’abitazione principale annunciata dal premier Matteo Renzi, anche per i proprietari di abitazioni di lusso, ville e castelli. Al catasto, di questi immobili, ne risultano poco più di 74 mila, ma solo una parte di questi, 44 mila sono adibiti a prima casa e fino a quest’anno hanno pagato Imu e Tasi come se fossero seconde case.
Non dovunque, perché l’arretratezza del catasto, la cui riforma è stata ancora rinviata dall’esecutivo, fa sì che in alcune zone si considerino di lusso abitazioni che in altri capoluoghi non lo sono e viceversa. Tanto per dare un’idea, secondo i dati resi noti da Confedilizia qualche mese fa, quasi il 15% delle abitazioni signorili, quelle censite nella categoria A1, sarebbero a Genova (4.400 su 36mila che se ne contano in Italia). Al catasto risultano 2.900 abitazioni di categoria A1 a Firenze, 2.800 a Napoli, 2.500 a Milano, 2.300 a Torino e 2.100 a Roma. E, paradossalmente, neanche uno a Grosseto o a Latina, Sondrio, Foggia, Cosenza, Avellino, Nuoro, Oristano, Potenza.
La decisione del governo di abolire l’imposta sulla casa per tutti, anche per ville e castelli, continua a tuttavia far discutere nella stessa maggioranza. Scelta civica, in particolare, insiste per limitare lo sgravio ai redditi più bassi. Anche perché il provvedimento annunciato da Renzi costa, e le risorse per finanziarlo non sono state ancora trovate.
Il taglio dell’Imu e della Tasi sulla prima casa vale esattamente 3,6 miliardi di euro, compresi gli 80 milioni delle case di lusso. Il governo, per giunta, non ha ancora deciso come compensare i Comuni per il mancato gettito che avranno dall’anno prossimo, con il taglio deciso dal premier. Le strade sono due: girare ai Comuni l’incasso dell’Imu sugli immobili produttivi (quelli di categoria D), che ammonta a circa 4,5 milioni di euro, oppure regolare il tutto con trasferimenti diretti ai Comuni.
Per finanziare l’operazione, che riguarda anche la cancellazione dell’Imu sui terreni agricoli (circa 600 milioni) e sui grandi macchinari industriali ancorati a terra, servono poco meno di 5 miliardi di euro. Ai quali per le esigenze del 2016 si aggiungono almeno 16 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva, 2-3 per l’indicizzazione delle pensioni e il rinnovo contrattuale dei dipendenti pubblici, altri 2 se si volesse, come pare, rendere strutturale la decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato.
Finora il governo ha messo sul piatto poco più di 16 miliardi. Dieci verrebbero dai tagli alla spesa pubblica, gli altri lasciando salire il deficit pubblico del 2016 entro i limiti concessi dalla Ue (0,4 punti di Pil, appunto 6,5 miliardi). Solo un deciso miglioramento della crescita, ad oggi non immaginabile, potrebbe ampliare quel margine di 1-1,5 miliardi di euro. In aggiunta il governo sembra intenzionato a chiedere anche l’attivazione della clausola sugli investimenti, che ci consentirebbe di escludere dal calcolo della spesa (e dal deficit) quella destinata a cofinanziare i progetti sostenuti dai Fondi Ue di Coesione e Sviluppo, e quelli destinati a sostenere il Piano Juncker. Ma anche qui si possono recuperare margini modesti: tra i 2 e i 4 miliardi al massimo.