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 2015  agosto 27 Giovedì calendario

Migranti, 51 profughi troppo poveri per sopravvivere sono stati uccisi dalle esalazione dei motori mentre attraversavano il canale di Sicilia chiusi nella stiva del barcone. Tra strofe rap e aspirine. Ecco cosa resta di loro

Il testo di una canzone rap e un borsellino vuoto, un iPod e una cuffietta, un dinaro libico e un pacco di aspirine, un cellulare. È rimasto solo questo, e poco altro, delle 49 vite spezzate nel Canale di Sicilia il giorno di Ferragosto. Ora, gli oggetti ritrovati addosso ai cadaveri sono tutti adagiati in modo ordinato su un tavolo, alla squadra mobile di Catania. Sono i «reperti», con tanto di bollo della polizia scientifica. Gli investigatori cercano un indizio, anche piccolo, su chi abbia portato a morire questi uomini rimasti senza identità. Magari un numero di telefono annotato da qualche parte, un nome, un luogo. «I reperti parlano», sussurra un vecchio poliziotto che di cadaveri ne ha raccolti a centinaia per le strade di Catania. E adesso raccoglie cadaveri in mezzo al mare. Parlano quei piccoli oggetti, a cui si sono aggrappati i giovani uomini che erano rinchiusi nella stiva dei trafficanti. Di loro sappiamo solo che erano del Bangladesh, del Pakistan, della Costa D’Avorio. Sappiamo questo e niente altro. Chi ha avuto la fortuna, e soprattutto i soldi, per viaggiare sul ponte del barcone ha raccontato ai magistrati che gli schiavi della stiva «erano bloccati lì sotto». Chi tentava di salire «veniva preso a calci, pugni e colpi di cinghia».
Parlano quei piccoli oggetti e raccontano di una traversata infernale, iniziata una notte di agosto sulla spiaggia libica di Zuara. Qualcuno ascoltava le sue canzoni sull’i-Pod, finché la batteria ha retto. Qualcuno ingoiava una pillola dopo l’altra e vomitava. Qualcuno continuava a girare fra le dita la sua unica ricchezza, una banconota da un dinaro libico, che vale 30 centesimi.
Qualcuno scriveva una canzone rap, in francese. Finché ha potuto, così suggerisce il vecchio investigatore. Perché nel secondo foglio la scrittura sembra diventare più incerta, i versi incomprensibili. Ma quel giovane non si rassegnava. La canzone era diventata la sua scialuppa di salvataggio. «Titolo: Gazzella», così inizia il «reperto 015». «È la storia tragica di una giovane ragazza che si chiama Gazzella». E adesso questo foglio è più di un corpo di reato, più di un indizio. Questo foglio è l’inno di chi vuole vivere, nonostante l’inferno in cui è caduto.
E così l’autore – probabilmente un giovane ivoriano, dice l’inchiesta – inizia il suo rap: «Pantalone basso a sigaretta, piccolo tatuaggio sul fianco, minuscolo body che lascia intravedere il suo ombelico, atteggiamento obbligato nelle auto cromate e nelle discoteche, trucco che si sta sciogliendo». Sembra di sentire il ritmo che incalza. Gazzella ama la bella vita e ha un idolo soprattutto: Didier Drogba, il calciatore ivoriano che ha giocato nel Chelsea. Ma, alla fine, Gazzella si ritrova dentro una butta storia. Come tutti gli altri che sono in quella stiva di sei metri per quattro, altezza un metro e venti. Stanno distesi, non c’è altro modo. Stanno ammassati. Sul fondo della stiva, i poliziotti hanno trovato altri piccoli oggetti. Chissà a chi appartenevano. Un collanina di cuoio che regge tre ciondoli, uno di pietra e due di latta. Un’altra cuffietta, un altro scatolo di pillole e un altro borsellino vuoto. C’era anche un foglietto sul fondo di quell’inferno. Un foglietto con una frase. Titolo: «L’amour». L’amore. E un pensiero: «L’amore non è differente da altre forme di struggimento». La scrittura sembra quella del rapper, ma la penna è un altra. «L’amore oh, eh l’amore, ah l’amore».
Adesso, il vecchio poliziotto riprende in mano il foglio che racconta la storia della giovane Gazzella. «Alla prima gravidanza l’hai allevato, alla seconda gravidanza hai abortito, la terza gravidanza è stata una cucciolata». Ovunque sia in quel momento, il rapper non perde la sua ironia. E soprattutto la rabbia che ha dentro. Scrive della sua eroina: «Ora sei preoccupata che i tuoi numerosi uomini ti abbiano lasciato con una sporca malattia, ti sono capitati un sacco di problemi, ecco che hai le lacrime agli occhi di fronte alla realtà della vita». Ma il rapper pensa solo a una cosa in quel momento. Pensa alla bellezza, nonostante tutto. «Oh Gazzella, la bella ragazza che sembra un cerbiatto». L’unica cosa bella in quella stiva, Gazzella. Il rapper la incita a non arrendersi: «Riprendi in mano la tua vita prima di arrivare alla fine, altrimenti un giorno dirai che se l’avessi saputo non l’avresti fatto, il tuo corpo si affatica all’avvicinarsi della tua morte». Sono gli ultimi versi.
In questi giorni, il vecchio investigatore è tornato tante volte – neanche lui ricorda più quante – a vedere i volti di questi uomini morti nella strage di Ferragosto, sono adagiati dentro una grande cella frigorifero della nave norvegese Seim Pilot. Il poliziotto è tornato a guardarli uno ad uno quei volti dopo aver passato in rassegna gli oggetti che avevano in tasca le vittime, per tentare di scoprire un particolare ancora delle loro vite. Alla fine, solo sei uomini sono stati riconosciuti dai propri familiari che viaggiavano sul ponte del barcone.