Il Sole 24 Ore, 26 agosto 2015
L’imbarazzo di Obama. se il suo vicepresidente Joseph Biden deciderà di candidarsi alla nomination democratica per le elezioni alla Casa Bianca del novembre 2016 – una prospettiva sempre più concreta – sfiderà il portabandiera del partito Hillary Clinton. Ovvero l’ex segretario di Stato dello stesso Obama, che per i suoi consiglieri e molti notabili democratici tuttora rappresenta la miglior chance per mantenere la presidenza in mani democratiche
L’ha definita «la miglior decisione politica della sua carriera». Ma adesso questa scelta potrebbe trasformarsi per Barack Obama in un dilemma insolubile: se il suo vicepresidente Joseph Biden deciderà di candidarsi alla nomination democratica per le elezioni alla Casa Bianca del novembre 2016 – una prospettiva diventata concreta con una serie di incontri esplorativi da parte di Biden – sfiderà il portabandiera del partito Hillary Clinton. Ovvero l’ex segretario di Stato dello stesso Obama, che per i suoi consiglieri e molti notabili democratici tuttora rappresenta la miglior chance per mantenere la presidenza in mani democratiche e raccogliere l’eredità degli ultimi otto anni.
Biden, a 72 anni, dovrebbe sciogliere le riserve al più presto, entro le prossime settimane. A spingerlo verso una candidatura, dicono nel suo staff, è la lunga passione per la politica, con alle spalle anche un dramma personale: la recente morte per tumore del figlio Beau, eroe di guerra e giovane politico in ascesa, che lo aveva incitato a correre.
A rendere credibile il suo ingresso, inoltre, sono le difficoltà che Clinton non riesce a scrollarsi di dosso: dallo scandalo delle e-mail gestite attraverso un server personale mentre era nell’amministrazione, alle ombre sulle donazioni internazionali ricevute dalla grande fondazione creata dal marito, l’ex presidente Bill Clinton.
Una miscela che sembra aver nutrito scetticismo: un sondaggio Rasmussen ha rilevato che il 46% degli elettori vorrebbe che Hillary Clinton sospendesse la campagna in attesa di far luce sulla vicenda della posta elettronica. Analizzato per fedeltà politica, il sondaggio rivela che una simile richiesta arriva dal 73% dei repubblicani ma anche dal 46% degli indipendenti e dal 24% dei democratici.
Gli affanni di Hillary Clinton hanno dato forza al suo principale avversario interno del momento: Bernie Sanders. Il senatore del Vermont e dichiarato socialista ha attirato folle ai suoi comizi e ha messo a segno avanzate nei sondaggi che hanno sorpreso gli osservatori. Rimane però considerato un outsider con poche speranze di arrivare alla nomination.
Diversa sarebbe la statura politica di Biden, che ha sondato il terreno con un pranzo privato con Obama lunedì e nei giorni precedenti con un incontro con la popolare leader delle correnti liberal del partito, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. Una credibilità, quella di Biden, citata dal portavoce della Casa Bianca Josh Earnest che ha ricordato, appunto, come Obama l’abbia considerato un partner politico ideale.
Proprio Earnest ha tuttavia tradito il profondo disagio che serpeggia nella West Wing al cospetto di una possibile battaglia fratricida Biden-Clinton. Nella stessa dichiarazione ha sottolineato i meriti di Hillary Clinton, per cui Obama nutre «grande rispetto e ammirazione». E Biden avrebbe davanti a sé formidabili ostacoli pratici. Una partenza in ritardo, quando la rivale ha ormai accumulato ingenti risorse finanziarie – 50 milioni più 15 da gruppi esterni – e organizzative da una costa all’altra del Paese.
Il vice-presidente da solo non ha mai dato sfoggio di una grande macchina elettorale: quale candidato alle primarie nel 2007-2008 raccolse soltanto 12 milioni di dollari contro i 127 milioni di Hillary. Una realtà politica e finanziaria che tuttora convince molti dentro la Casa Bianca che l’ex First Lady, senatore di New York e segretario di Stato resti nonostante le perplessità la miglior speranza per vincere alle urne.
A dar tempo ai candidati democratici, però, è la tensione che regna nel campo avversario, dentro il partito repubblicano. Faticano a emergere favoriti nell’affollato gruppo dei 17 aspiranti. Il costruttore e miliardario Donald Trump, repubblicano sui generis ma popolare soprattutto per le sue uscite anti-immigrati, mantiene un forte vantaggio nei sondaggi: in uno stato cruciale per i repubblicani quali la South Carolina ha il doppio dei consensi dei rivali, compresi i più accreditati Jeb Bush, Marco Rubio e Scott Wilson, nessuno dei quali ha finora dato prova di capacità di mobilitare gli elettori.
L’incertezza ha spinto il magnate dei mass media Rupert Murdoch a intervenire: in un messaggio su Twitter ha auspicato che tra i repubblicani entri in corsa un altro miliardario più credibile, l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg.