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 2015  agosto 26 Mercoledì calendario

Il tempio di Ba’al Shameen, patrimonio Unesco dell’Umanità, costruito più di duemila anni fa a Palmira, ora è solo un mucchio di pietre sbriciolate e di polvere: è stato fatto saltare in aria dai miliziani dell’Isis. La conferma della notizia della distruzione, avvenuta due giorni fa, è stata data da una serie di immagini messe in rete dai sostenitori del Califfato

Un altro pezzo di Siria che scompare per sempre. Il tempio di Ba’al Shameen, patrimonio Unesco dell’Umanità, costruito più di duemila anni fa a Palmira, ora è solo un mucchio di pietre sbriciolate e di polvere: è stato fatto saltare in aria dai miliziani dell’Isis. La conferma della notizia della distruzione, avvenuta due giorni fa, è stata data da una serie di immagini messe in rete dai sostenitori del Califfato, immagini che purtroppo non lasciano spazio a dubbi e incertezze sulla sorte dell’antico edificio religioso (dedicato al “Signore del cielo”, una divinità pagana assimilabile a quella del dio Mercurio).
L’OBIETTIVO
«La sistematica distruzione dei simboli culturali che incarnano la diversità culturale siriana rivelano il vero intento di tali attacchi: quello di privare il popolo siriano della sua conoscenza, della sua identità e della sua storia», ha commentato il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova. Ad una settimana dalla barbara uccisione del professor Khaled al Assad, ex direttore del sito archeologico, questa ennesima violenza «è un nuovo crimine di guerra e una perdita immensa per il popolo siriano e per l’umanità», secondo il direttore generale dell’Unesco. La struttura era stata eretta nel I secolo avanti Cristo e successivamente ampliata dall’imperatore romano Adriano ed era uno dei templi meglio conservati di Palmira. Alberto Savioli, archeologo dell’Università di Udine, è attualmente impegnato in una missione nel Kurdistan iracheno per il progetto “Terra di Ninive”.
Savioli, che conosce da vicino il patrimonio archeologico siriano, ha sperato fino all’ultimo che Palmira non venisse toccata. «A Nimrud e sul sito di Ninive, in Iraq, sono state distrutte immagini di divinità che secondo la loro ideologia vanno distrutte perché immagini di falsi dei. Per Palmira speravo fosse diverso, si tratta di una antica città con immagini di divinità non in evidenza. Dopo la conquista della città avevano distrutto la statua del leone della divinità Allat con la gazzella sotto le zampe. Poi era toccato ad alcuni mausolei fuori dalle rovine sulle montagne che circondano la città moderna. Questa iconoclastia era sulla stessa linea delle distruzioni operate contro le immagini delle divinità assire in Iraq. Con la distruzione del tempio di Ba’al Shameen si spostano su un altro livello, verso un’iconoclastia che distrugge antichi luoghi di culto», dice lo studioso al Messaggero. «A questo punto la possibilità che distruggano il maggiore tempio di Palmira e quello più famoso, il tempio di Ba’al, è veramente concreta».
TEMPI CADENZATI
Uno stillicidio senza fine e non casuale, con tempi cadenzati per comunicare meglio le loro odiose azioni al mondo. Ma in Siria ci sono anche e soprattutto crimini contro l’umanità, la maggior parte dei quali commessi dal regime di Bashar al Assad. Solo nella scorsa settimana sono morte quasi duecentocinquanta persone, uccise dai bombardamenti aerei indiscriminati del regime. Una strage che sembra finire in secondo piano solo perché non imputabile allo Stato Islamico.
Riguardo i crimini del califfato, una nuova terribile notizia arriva da Aleppo, dove opera in clandestinità “Medici senza frontiere”. L’organizzazione denuncia che presso una sua struttura medica si sono presentati casi di pazienti con sintomi di esposizione ad agenti chimici. L’ong parla di una famiglia di quattro persone proveniente dalla cittadina di Marea (nord di Aleppo) la cui abitazione sarebbe stata esposta a un colpo di mortaio che avrebbe diffuso un gas giallo, causando arrossamento agli occhi, eritema cutaneo e difficoltà respiratorie. Un’ulteriore prova, se confermata, del possesso di armi chimiche (probabilmente iprite) da parte dello Stato Islamico.
In Libia invece, nella cittadina di Sirte, in un video diffuso in rete sempre dall’Isis, viene mostrato un uomo che uccide un prigioniero vestito con la classica tuta arancione e legato a una sorta di croce. Altri tre uomini, sulla cui identità non ci sono informazioni precise (forse sono provenienti da altri paesi africani), sarebbero stati giustiziati dai miliziani.