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 2015  agosto 26 Mercoledì calendario

La Mela, la Cina e la teoria delle «profezie autoavveranti». Lunedì la casa di Cupertino ha bruciato 75 miliardi di dollari di valore, perdendo oltre il 13% ma è bastata un’ottimistica mail di Tim Cook, ad di Apple, a Jim Cramer, giornalista finanziario, per risollevarne le sorti e far chiudere la seduta con una flessione accettabile del 2,5%. Anche per Lloyd Blankfein della Goldman Sachs «non c’è rischio di recessione». Basta ricordare le parole di Buffett quando Lehman Brothers collassava: «Nel Ventesimo secolo gli Stati Uniti hanno subito due guerre mondiali; la Depressione; una dozzina di recessioni e periodi di panico finanziario; shock petroliferi; un’epidemia di influenza; e le dimissioni di un presidente caduto in disgrazia. Eppure il Dow Jones è salito da 66 a 11.497»

Quale sindrome cinese, quale decrescita irrazionale e impaurita del Pil mondiale sulla scia di un Paese incapace di usare il risparmio privato per lanciare i consumi. Soprattutto alt al «panic selling» sui mercati. Apple è viva. Apple sta bene. Apple continua a macinare profitti nella «Grande Cina», considerando anche Hong Kong e Taiwan.
Ottimisti contro cassandre. Profeti di ventura contro quelli di sventura. Tim Cook, amministratore delegato di Apple, si può iscrivere a pieno titolo tra i primi, come un condottiero fa quando vede serpeggiare sfiducia tra i suoi. All’avvio delle contrattazioni lunedì la casa di Cupertino ha bruciato 75 miliardi di dollari di valore, perdendo oltre il 13% in poco più di un’ora. Un crollo senza precedenti che stava trascinando al ribasso anche Wall Street, vista la capitalizzazione da capogiro della Mela. Complice la teoria delle «profezie autoavveranti» Cook ha scritto una email ad un interlocutore piuttosto particolare, consapevole che quelle poche righe avrebbero fatto il giro del mondo. «Posso dirvi che continuiamo a registrare una forte crescita per il nostro business in Cina a luglio e ad agosto». Il destinatario è quel Jim Cramer che negli Stati Uniti è una sorta di icona del giornalismo finanziario. Ex manager di hedge fund e ora l’anchorman della popolarissima rete Cnbc. L’effetto è immediato. Le azioni di Cupertino risalgono immediatamente chiudendo la seduta con una flessione accettabile del 2,5%. Riprendono immediatamente fiato anche Google, Facebook, Netflix e Twitter che finiscono in territorio negativo, ma senza provocare perdite rilevanti agli azionisti.
Se il mezzo è il messaggio stavolta un’email all’obiettivo giusto funge da defibrillatore rianimando una Wall Street terrorizzata dallo scoppio della bolla finanziaria cinese. Ecco perché Cook è stato subito emulato. La banca d’affari Goldman Sachs, guidata dal banchiere più pagato al mondo, Lloyd Blankfein, sforna ieri un attesissimo report in cui invita tutti all’ottimismo. «Non c’è rischio di recessione». Calma. L’economia globale si è presa un raffreddore, complice il mese di agosto in cui ci si scopre un po’ di più per le temperature da caldo africano. Non influirà nemmeno la caduta dei prezzi delle materie prime, tranquillizza Goldman Sachs. La parola chiave degli analisti è «sovrastimare». In altre parole i mercati starebbero sovrastimando i rischi derivanti dalla Cina interpretandoli in maniera troppo drammatica. Cassandre. Giocatori di azzardo. Forse converrebbe ripescare una massima cara a Warren Buffett, l’oracolo di Omaha, il santone dei mercati. In questi giorni silente eppure da sempre ritenuto un ottimista, capace di scommettere e guadagnare: «Nel Ventesimo secolo gli Stati Uniti hanno subito due guerre mondiali; la Depressione; una dozzina di recessioni e periodi di panico finanziario; shock petroliferi; un’epidemia di influenza; e le dimissioni di un presidente caduto in disgrazia. Eppure il Dow Jones è salito da 66 a 11.497», disse Buffett qualche anno fa mentre collassava Lehman Brothers. Gli Stati Uniti sono ripartiti, la disoccupazione è diminuita rispetto al 2008 complice la politica ultra-accomodante della Federal Reserve. L’Europa ha sofferto di più. Saremo tutti pessimisti?