Corriere della Sera, 26 agosto 2015
La Cina fa sempre più paura. Ad allarmare è più che altro il suo indebitamento: dai 7mila miliardi di dollari del 2007 ai 28mila miliardi della metà del 2014, pari al 285% del Pil. E la metà dei nuovi prestiti provengono dal sistema bancario ombra. Tuttavia il Paese ha una grande risorsa: migliaia di miliardi di riserve in dollari
C’è stato un tempo, neanche troppo remoto, in cui per dire che un Paese cresceva a doppia cifra e aveva un’economia in buona salute, si usava l’espressione «È la nuova Cina». E poi? E poi quella che è stata definita la peggiore tra le bolle attese dai mercati, è esplosa, creando un tale livello di panico da far resuscitare i fantasmi di Lehman Brothers.
All’inizio dell’anno il governatore della Banca popolare cinese, Zhou Xiaochuan, era pronto a scommettere che la scena di un risparmiatore occidentale che si reca in una banca cinese per chiedere un mutuo o un prestito sarebbe presto diventata realtà, se non addirittura «tendenza». Le cose potrebbero andare diversamente, soprattutto dopo la tempesta asiatica di questi giorni a cui la People’s Bank of China ha cercato di mettere degli argini: ieri, a mercati chiusi, è stato comunicato un taglio dello 0,25% dei tassi di interesse e un abbassamento di mezzo punto percentuale del tetto di riserva obbligatoria imposto alle banche, ora al 18% per i maggiori istituti. Effettuata una nuova iniezione di liquidità da 150 miliardi di yuan (23,4 miliardi di dollari) dopo quella, dello stesso importo, attuata la settimana scorsa a favore del sistema bancario.
Ma la Cina ora fa paura a livello globale: irrompe nel dibattito politico americano con la destra furiosa con Barack Obama, la cui posizione nei confronti di Pechino è considerata troppo molle. Il Giappone ha fatto sapere che lavorerà coi partner del G7 per neutralizzare il potenziale impatto sulla crescita legato alle turbolenze sui mercati azionari. Per Kenneth Rogoff, l’ex capo economista del Fmi interpellato dal New York Times «la Cina è molto vulnerabile ma se la caverà». Ad allarmare, ha spiegato, è più che altro il suo indebitamento: dai 7mila miliardi di dollari del 2007 ai 28mila miliardi della metà del 2014, pari al 285% del Pil. «È preoccupante – spiega – perché la metà dei prestiti sono legati al mercato immobiliare, perché la metà dei nuovi prestiti provengono dal sistema bancario ombra, che non è regolato, e perché l’indebitamento di molti enti locali non è sostenibile». Dunque, potenzialmente, la Cina è un grosso rischio. Tuttavia, ha precisato l’economista, il Paese ha una grande risorsa: migliaia di miliardi di riserve in dollari che, sostiene Rogoff, rappresentano per ora uno strumento sufficiente ad evitare una crisi incontenibile.