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 2015  agosto 25 Martedì calendario

Ma il trattato di Schengen ha ancora senso? I controlli ai confini dell’Ue sono aboliti, eppure, anche la Merkel vacilla. Dalle frontiere aperte alle trappole per uomini. Nelle prime ore della tempesta perfetta che ha colpito la Macedonia stretta tra il vuoto di potere in Grecia e la Serbia sigillata dal muro al confine ungherese, poliziotti su mezzi blindati srotolavano filo di ferro lungo i binari che risalgono i Balcani. Un modo per fermare i migranti che seguivano a piedi la strada ferrata verso il Nord dove i dissidenti del Novecento aggiravano un’altra Cortina strisciando nel fango. I profughi del Duemila sperano di trovare una breccia su quella stessa rotta

Dalle frontiere aperte alle trappole per uomini. Nelle prime ore della tempesta perfetta che ha colpito la Macedonia stretta tra il vuoto di potere in Grecia e la Serbia sigillata dal muro al confine ungherese, poliziotti su mezzi blindati srotolavano filo di ferro lungo i binari che risalgono i Balcani. Un modo per fermare i migranti che seguivano a piedi la strada ferrata verso il Nord dove i dissidenti del Novecento aggiravano un’altra Cortina strisciando nel fango. I profughi del Duemila sperano di trovare una breccia su quella stessa rotta. Ai Paesi candidati all’ingresso nella Ue come Serbia e Macedonia, Bruxelles chiede più controlli per rafforzare le frontiere esterne mentre all’interno vacilla la costruzione fondata sulla libertà di movimento degli individui, principio mutuato dal Trattato di Roma che istituì la Comunità economica, poi Unione politica. Che fine ha fatto Schengen?
L’Europa è una Storia di confini, integrità territoriali negate e conquistate. Andare oltre l’idea di frontiera, paradigma fondativo delle identità nazionali, non è stato facile. L’abolizione del controllo dei passaporti incontrò subito le resistenze delle stesse capitali che oggi si muovono in ordine sparso sul duplice fronte dell’emergenza immigrazione e del terrorismo internazionale – fenomeni che la retorica xenofoba fonde in un’unica minaccia per tenere alto l’allarme sociale, quando la maggior parte dei migranti fugge dallo stesso fondamentalismo in lotta con l’Occidente. L’Accordo di Schengen fu faticosamente firmato nel 1985 da Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania Ovest, per essere poi integrato e sottoscritto da altri Stati, infine inglobato attraverso il Trattato di Amsterdam nel corpo di leggi dell’Unione. Trent’anni dopo, l’aperta contestazione di quel sistema non è più tabù neanche per i capi di governo di Paesi con una solida tradizione di accoglienza.
All’indomani dello sventato attacco al treno Thalys Amsterdam-Parigi il premier belga Charles Michel, 39enne liberale poco incline a derive populiste, ha chiesto «un adeguamento» di Schengen: «L’Accordo è importante per la nostra economia ma ora siamo di fronte a nuove minacce». L’attentato, replica Bruxelles, «non rimette in questione uno dei più grandi risultati della Ue, non negoziabile».
L’appello del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker affinché l’Europa trovi «il coraggio collettivo di rispettare gli impegni, anche quando non sono facili né popolari» è il tentativo estremo di arginare una tendenza già in atto, suggellata ieri dalla fuga in avanti della cancelliera tedesca Angela Merkel con il presidente francese François Hollande. Pur invocando «un sistema unificato di diritto d’asilo e una politica migratoria comune», i due leader hanno di fatto superato la concertazione a livello europeo per rivendicare il diritto d’iniziativa degli Stati. Di fronte a «una situazione eccezionale» che i Paesi di ingresso come Italia e Grecia non riescono a gestire e in assenza di una risposta europea rapida e coordinata, le capitali non escludono azioni unilaterali. «L’applicazione del sistema di asilo è il requisito perché funzioni il sistema Schengen» avverte Hollande: se va in tilt il primo, come già avviene con le disfunzioni del Regolamento di Dublino, salta il secondo. Lo stato d’eccezione legittima misure straordinarie. Si spiega così la recente apertura della Merkel alla possibilità di ripristinare i controlli alle porte della Germania che quest’anno aspetta 800 mila richieste d’asilo. Schengen diventa carta negoziale nella partita delle ricollocazioni che si apre a settembre secondo l’Agenda Immigrazione Ue. I Paesi che fino ad oggi hanno accettato più migranti, come Svezia e Austria, minacciano di seguire Berlino se lo sforzo non sarà davvero condiviso. Gli Stati del Centro-Est stanno già restringendo i criteri di ingresso.
La cancelliera gioca di sponda con il premier britannico David Cameron, che proprio in questi giorni comincia la manovra di riposizionamento del Regno Unito e la sua personale campagna per cambiare le regole europee in vista del «referendum Brexit». Manca un anno al voto che potrebbe staccare Londra dal continente e il premier parte in tour tra Finlandia, Svezia e Danimarca per sondare un’alleanza di Paesi non-euro. Insieme all’Irlanda, la Gran Bretagna è la sola nazione Ue stabilmente fuori da Schengen grazie alla clausola di opt-out (Bulgaria, Croazia, Cipro e Romania hanno l’obbligo legale di futura adesione all’Area che comprende 22 sui 28 Stati dell’Unione più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Cameron ha annunciato un giro di vite interno sull’immigrazione. Nella trattativa appena partita con Bruxelles accumula vantaggio. Il sistema Schengen non è mai stato tanto fragile.