Corriere della Sera, 25 agosto 2015
Sui marò una vittoria a metà: Girone non torna ma il processo non si farà in India. Il Tribunale del mare dell’Onu accoglie la tesi italiana: sulla vicenda deciderà un arbitrato internazionale. Bocciata la richiesta di far rientrare in patria entrambi i militari. Il ministro Gentiloni: «È un risultato utile». New Delhi delusa
Sulla vicenda dei marò l’Italia ottiene una vittoria a metà. Sarà un arbitrato internazionale a decidere la sorte dei due fucilieri della marina italiana intrappolati da oltre 3 anni nel limbo della giustizia indiana. Ma, nel frattempo, i marò non potranno essere liberati, come chiedeva Roma, permettendo così a Massimiliano Latorre, attualmente in convalescenza a casa di restarci, e a Salvatore Girone di rientrare in Italia.
Il Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo (Itlos) ieri ha deciso che New Delhi non ha competenza a giudicare i due fucilieri accusati di aver ucciso, il 15 febbraio 2012, due pescatori nello Stato del Kerala mentre erano in missione antipirateria sulla petroliera battente bandiera italiana Enrica Lexie. Perciò l’India deve astenersi da qualsiasi procedura giudiziaria e amministrativa. Proprio per domani la Corte Suprema indiana aveva convocato una nuova udienza sul caso.
A stabilire dove dovranno essere processati i due marò sarà una corte arbitrale internazionale, che Italia e India devono costituire. Archiviata la «delusione» iniziale espressa a caldo, subito dopo la sentenza, dall’ambasciatore italiano all’Aja, Francesco Azzarello, Agente del governo ad Amburgo, la difesa guidata dall’avvocato baronetto inglese, Sir David Bethlehem, si è già messa al lavoro con i rappresentanti indiani per stringere i tempi. Mancano ancora tre nomi, tra cui il presidente, per completare la cinquina dei giudici che comporranno il Tribunale arbitrale investito della questione giurisdizionale.
Roma ha già scelto Francesco Francioni, docente di diritto internazionale, Delhi punta su P. Chandrasekhara Rao, uno dei 21 giudici membri dell’Itlos. Secondo i tempi stabiliti dalla Convenzione sul diritto del mare dell’Onu (Unclos), le altre nomine dovranno essere fatte al più tardi entro il 9 ottobre. Ma per il verdetto del Tribunale arbitrale, che non avrà sede necessariamente all’Aja, bisognerà aspettare almeno due anni. Solo una volta deciso il foro competente, potrà cominciare il processo vero e proprio.
Fin da subito, però, l’Italia punterà a far rivedere la condizione dei due marò, non solo sollecitando una nuova misura provvisoria urgente questa volta direttamente al neo Tribunale arbitrale, ma anche facendo richiesta a New Delhi. L’ordine dell’Itlos di sospendere tutti i procedimenti e le azioni dell’India nei confronti dei marò potrebbe infatti far decadere anche le misure cautelari, secondo alcune interpretazioni. È una via che la difesa italiana intende esplorare, quando avrà studiato con attenzione la complessa sentenza composta da 141 paragrafi (27 cartelle), che il presidente russo dell’Itlos, Vladmir Golitsyn, ha letto in 37 minuti.
La decisione di Amburgo è stata accolta, come sempre, in modo contrastante. Per il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, «è un risultato utile», perché «ha stabilito in forma definitiva il principio molto importante che non sarà la giustizia indiana a gestire la vicenda dei marò, ma l’arbitrato internazionale». E ora «il governo italiano resta impegnato per garantire la libertà ai due fucilieri». Più deluso è invece il ministro dei Trasporti, Graziano Del Rio, ammettendo che «l’Italia sperava diversamente. La sentenza non va nella direzione che avevamo richiesto». Per il deputato di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa è «la dimostrazione che bisognava cominciare prima. Rimane il rimpianto per avere perso inutilmente 3 anni». E Beppe Grillo, che ha ospitato sul suo blog un post colpevolista firmato da Mario Albanesi, ha spinto alla ribellione il popolo del M5S. Ma è significativo che ad essere molto insoddisfatto della decisione sia anche il giudice indiano Rao, che ha ovviamente votato contro e ieri era assente ad Amburgo. «È sbilanciata contro l’India e giuridicamente non ben fondata», ha sostenuto nella sua «opinione in dissenso» allegata alla sentenza.