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 2015  agosto 25 Martedì calendario

Alla crisi cinese si accompagna la crescita dell’euro: torna così l’incubo della deflazione. Da metà aprile la moneta unica si è già rivalutata il 6% in media sui Paesi verso i quali esporta di più. Passi avanti della Bce nel riequilibrio dei prezzi, ma ora deve fare i conti con gli effetti del crollo delle Borse

La storia non si fa con i «se», ma resistere alla tentazione diventa più difficile quando si tratta solo di passato recente. Il Quantitative easing della Banca centrale europea, il piano di acquisti di titoli da circa 1.100 miliardi, non è stato deciso con facilità l’inverno scorso. Per anni alcuni governatori si erano opposti, guidati dalla Bundesbank, e non resta che chiedersi dove sarebbero l’area euro e i titoli di Stato dell’Italia in questa tempesta asiatica se per caso quella linea avesse prevalso.
Quel piano è partito per sradicare dall’area euro la minaccia della deflazione: è un batterio delle economie che erode i prezzi, paralizza i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese in attesa che tutto costi un po’ meno domani, e rende gli oneri sulle spalle dei debitori sempre più pesanti in proporzione a ricavi in continuo declino. In deflazione, per l’Italia gestire il suo debito pubblico e innescare una ripresa degli investimenti diventa molto più difficile.
Da marzo, quando ha avviato il Quantitative easing, la Bce aveva ottenuto i primi progressi: ha già iniettato nell’economia circa 350 miliardi di euro e da allora l’indice dei prezzi al consumo ha iniziato a risollevarsi. L’inflazione era decisamente sotto zero in febbraio, prima che iniziassero gli acquisti decisi a Francoforte, ma da maggio a luglio è tornata in territorio positivo. Ancora lontanissima dall’obiettivo di un carovita vicino al 2%, ma non più in caduta. Nel frattempo, in aprile l’euro ha coronato ha svalutazione di circa il 15,4% sul gruppo delle principali monete e anche questo aveva dato respiro: una valuta più debole rende meno cari e più competitivi i prodotti all’esportazione. Senza di essa è probabile che le vendite del made in Italy all’estero nell’ultimo anno non sarebbero cresciute.
La linea di faglia del terremoto cinese sta rimettendo tutto questo in discussione. Da qualche settimana, alcuni degli indicatori osservati da Mario Draghi per valutare l’inflazione futura hanno ripreso a dirigersi nel senso sbagliato. Un anno fa a Jackson Hole Draghi rivelò per esempio che guardava molto al cosidetto «5y5y forward», un’indice di mercato che misura le attese di inflazione fra cinque anni per i cinque successivi: quel dato è tornato a calare, ieri sera all’1,61%. Oggi è più basso di dov’era un anno fa, quando Draghi dichiarò che era sceso fin troppo e dunque il rischio di deflazione era presente.
Il ritorno di una minaccia di erosione dei prezzi non è frutto di un errore della Bce, benché il rallentamento della ripresa europea sia iniziato già in primavera, ma della frattura che si è aperta nel sistema cinese. Nel 2014 la Repubblica popolare aveva assorbito più di metà del minerale di ferro venduto nel mondo, metà dell’alluminio, del carbone, del nickel, del rame e dello zinco, il 40% del piombo, il 12% del petrolio e il 5% del gas naturale. Con questa pesante presenza su tutti mercati delle materie prima, la Cina determina i tutti prezzi e ne provoca il crollo non appena rallenta: specie se, come nel greggio o nel metano, l’offerta nel frattempo non fa che aumentare.
Il ritorno all’orizzonte europea della nube della deflazione si spiega in buona parte così: la gelata dei prezzi arriva da fuori. La previsione della Bce di un carovita medio all’1,5% per l’anno prossimo appare ormai ottimistica. A complicare il quadro contribuisce poi il regresso sull’altro fronte nel quale l’Europa e l’Italia avevano mosso passi avanti nell’ultimo anno: da metà aprile l’euro si è già rivalutato di circa il 6% in media sui Paesi verso quali l’area esporta di più. Anche qui pesa il timore di una svalutazione cinese, perché spinge in una competizione al ribasso le monete di decine di altri Paesi.
A gennaio scorso, Draghi aveva avvertito che gli interventi della Bce sarebbero potuti continuare finché l’obiettivo non fosse raggiunto. Per l’Italia e l’Europa, diventa una delle partite vitali del 2016.