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 2015  agosto 25 Martedì calendario

La Banca centrale cinese va a caccia di liquidità. Adesso che le Borse cinesi hanno dimezzato il loro valore e che una svalutazione improvvida dello yuan ha innescato una fuga di capitali, il governo di Pechino ha quasi esaurito i mezzi a disposizione per convincere gli operatori e risollevare i mercati. Per ridare linfa al sistema le soluzioni ruotano sulle operazioni di mercato aperto sui prestiti alle banche. Ma si pensa anche al tesoro delle riserve in valuta

Che fare? Adesso che le Borse cinesi hanno dimezzato il loro valore e che una svalutazione improvvida dello yuan ha innescato una fuga di capitali, il governo di Pechino ha quasi esaurito i mezzi a disposizione per convincere gli operatori e risollevare i mercati.
L’effetto Black Monday sembra aver appannato ogni capacità di reazione: manca la liquidità, nemmeno la maxi-iniezione della Banca centrale è riuscita a centrare l’obiettivo e anche l’ultima trovata del week-end, quella di favorire l’accesso dei fondi pensione ai mercati azionari, una riforma pur lungamente attesa, è risultata priva di appeal.
Se la borsa in Cina ha funzionato come l’unica valida alternativa al mercato immobiliare per creare ricchezza spendibile sui mercati interni, ma l’economia, quella vera, non ha cambiato pelle e questo è un dato di fatto, la dipendenza dall’export è rimasta intatta, prima la bolla immobiliare, poi quella azionaria, hanno fatto il resto.
Oggi nessuno ha fiducia che le cose cambieranno in fretta, tantomeno chi investe per professione, e dal picco borsistico del 12 giugno in poi è stato un crollo del quale non si intuisce ancora la fine.
Le soluzioni che circolano per ridare linfa al sistema sono poco più che voci incontrollate: Financial News, media collegato alla Banca centrale, sottolinea lo sforzo con cui la scorsa settimana sono stati iniettati attraverso operazioni a mercato aperto 150 miliardi di yuan, in quasi sei mesi l’ammontare più alto mai registrato. Una strategia che potrebbe continuare, abbinata ai prestiti alle banche commerciali.
Quindi ci sarebbe da aspettarsi una forte riduzione dell’acquisto di valuta estera e un aumento delle operazioni di mercato aperto. Servirà?
Altri i rumors parlano di un ennesimo taglio dei ratios delle riserve delle istituzioni bancarie, che a sua volta, potrebbe rivelarsi altrettanto insufficiente data la situazione in cui versano le borse cinesi. Era una voce e tale è rimasta.
Fughe di capitali continuano intanto a minacciare un mercato da 6 trilioni di dollari. Basterà l’autorizzazione ai fondi pensione a entrare nell’arena forti dei loro asset patrimoniali? Ieri i mercati non hanno creduto che una simile proposta possa cambiare le cose, almeno nel breve periodo. Non serve somministrare caramelle a chi ha la febbre a 40.
Certo, bisogna ricordare che la People’s Bank of China è seduta su una montagna di foreign exchange reserves, 3,65 trilioni di dollari a luglio, primo mese di rilevazione in assoluto dopo una lunga tradizione di dati quadrimestrali, che possono essere utilizzati per tamponare le falle.
È il bottino più grande al mondo, che da tre mesi a questa parte si va assottigliando: la Banca centrale lo sta usando per tenere lo yuan stabile ed evitare proprio le fuoriuscite di capitali. A luglio si era assottigliato di 42,5 miliardi.
Che succederebbe se questo tesoro venisse usato per rimettere liquidità nelle vene delle borse cinesi colpite e quasi affondate?
Com’è noto le riserve cinesi sono fatte – per quel che si sa dal momento che il patrimonio della Banca centrale è materia di segreto di Stato -, soprattutto da dollari Usa sottoforma di bond emessi dallo Stato e da bond istituzionali al netto delle riserve di Hong Kong e Macao. Insomma due terzi delle riserve sono denominati in dollari il resto in euro.
La liquidità di questi asset però non è immediata, certamente è lo stesso strapotere del dollaro a creare un ostacolo alla smobilizzazione. Resta il dollaro la moneta di riferimento e il dollaro in questo momento è la valuta forte.
La Cina peraltro da anni cerca di diversificare gli asset, ne sa qualcosa il governatore Zhou Xiaochuan che si è messo a investire in azioni di aziende e l’Italia ne è un esempio, è diventata una meta favorita dei suoi investimenti con partecipazioni della Banca in quasi tutte le migliori realtà ben oltre la soglia del 2 per cento. Vendite massicce di bond americani creerebbero comunque ulteriori contraccolpi nei rapporti con gli Usa.
Tra diversificare e far cassa in mezzo c’è ancora il dollaro. Com’è noto, la strada verso l’internazionalizzazione dello yuan “grazie” al Fondo monetario si è notevolmente allungata. Per l’ingresso dello yuan nel paniere dei diritti speciali di prelievo se ne parla, purtroppo per Pechino, l’anno prossimo.