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 2012  settembre 26 Mercoledì calendario

Ritratto di Ippolito Nievo

Ippolito Nievo, nato il 30 novembre 1831 a Padova, da famiglia benestante. Il padre d’origine mantovana e borghese, non privo di qualche terra ma costretto a fare l’impiegato della magistratura. La madre nobildonna veneziana, stessa famiglia dell’ultimo doge di Venezia.
Neppure diciasettenne, deve terminare l’anno scolastico prima di correre a Custoza per giungervi a cose fatte e rendersi conto personalmente della sconfitta.
«Questa società di eunuchi e di egoisti»; «questo secolo di bastardi e di eunuchi, a cui io arrossisco di appartenere» (dopo i moti del ’48).
Nell’agosto 1850 scrive l’Antiafrodisiaco per l’amor platonico, scritto sarcastico sull’amor deluso (l’innamorata Matilde) e sugli ideali illusori (l’ideologia rivoluzionaria).
«La nostra patria è una donna ammalata che ha la tegna in testa, l’artitide, e il sangue bleu al braccio destro, che è monca dal sinistro, e che finalmente un canchero nel ventre, e una gotta dolorosissima ai piedi. Ma in un paese occidentale fu scoperto due anni fa un sugo onnipotente che può guarirla da tutti i suoi mali» (dall’Antiafrodisiaco per l’amor platonico).
Nel 1958 scrive Le Confessioni d’un Italiano, «senza requie, quasi in preda a un’autentica febbre, e inventa la storia della vita di Carlino – l’ottuagenario – che, iniziata quando ancora resisteva la repubblica veneziana, si chiuderà all’indomani del ’48, ma immagina che egli abbia cominciato a scriverla proprio nella notte della definitiva sconfitta di ogni illusione di indipendenza».
«Io nacqui Veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell’Evangelista San Luca: e morrò per la grazia di Dio Italiano, quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo» (l’inizio delle Confessioni d’un Italiano).
Le Confessioni, il romanzo del Risorgimento prima del Risorgimento.
«Dove tuona un fatto, siatene certi ha lampeggiato un’idea».
«O Venezia, o madre antica di sapienza e libertà! Ben lo spirito tuo era allora più sparuto e più nebbioso dell’aspetto! Egli svaniva oggimai in quella cieca oscurità del passato che distrugge perfino le orme della vita; restano le memorie, ma altro non sono che fantasmi: resta la speranza, il lungo sogno dei dormienti. T’aveva io amato moribonda e decrepita?» (Le Confessioni d’un Italiano).
«Un battito che somiglia in soavità al palpito dell’amore mi risolleva le viscere quando penso alle sue lagune, alle sue cupole, alle sue gondole».
Allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza Nievo corre a Torino e si arruola tra le Guide a cavallo dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi.
«Organizzarsi incasermarsi e piemontizzarsi non è affare per me».
«Se l’audacia di Garibaldi o il coraggio di un miglior ministero non ci ajutano, ricordato quello ch’io avrò preveduto oggi. La diplomazia estera finirà coll’aver ragione contro di noi. Non si tratterà né di repubblica né di monarchia né d’unità o di federazione: ma la causa dell’anarchia e o della reazione trionferanno. I semi ne son già gettati; e un occhio accorto ne vede serpeggiare le prime ascose radici. Forse altri uomini saprebbero volgere a bene anche questo; ma non è il tempo». (lettera a Bice Gobio Melzi).
La pace di Villafranca, che ferma gli austriaci sulle rive del Mincio, abbandona le terre venete a nuova servitù e disegna un’Italia senza Venezia.
«Cieco gli occhi di pianto, il cor fremente / di bestemmie e d’insulti, or come al labbro / sovvien la nenia dell’inutil verso? (…) Ma perché un’altra volta alla nefanda / balia de’ grandi ci concesse il cielo? / Quali colpe ci crebbero, qual soma / di viltà, quali infamie onde il supplizio / alla virtù s’addica, e rasi a terra / sian come stoppia i giovinetti allori? (…)» [Villafranca, Poesie]
«Venezia dopo Roma è la città più Italiana della patria nostra, anzi in alcune parti della sua storia e ne’ suoi multiformi ordinamenti politici serbò meglio della stessa Roma l’impronta del prisco spirito Italico. A ciò cospirarono molte ragioni: e forse più di ogni altra quella di razza, essendoci dimostrato coi documenti alla mano che delle varie stirpi italiane la Veneziana è quella in cui si trasfuse più puro il sangue dell’antica Roma patrizia e plebea» (Venezia e la libertà d’Italia, pubblicato in forma anonima nel 1860).
«Povera Venezia! Povera regina vagheggiata dai poeti di tutte le nazioni, compianta da tutti i cuori che hanno fibre di carità, ammirata da quanti sono al mondo intelletti capaci di comprendere le cose sublimi! No, non ti abbandoneremo noi alla vigilia della sventura. E come potremmo abbandonarti, se siamo tutti tuoi figli, se da te, da te sola riconosciamo gli esempi più grandi e solenni d’abnegazione e di virtù» (Venezia e la libertà d’Italia).
Foscolo, «un giovinetto quasi imberbe e di fisionomia tempestosa», «ruggitore e stravolto», «leoncino di Zante», «il più strano e comico esemplare di cittadino che si potesse vedere; un vero orsacchiotto repubblicano ringhioso e intrattabile».
Alfieri e Foscolo, Manzoni e Pellico, Leopardi e Giusti, «una diversa famiglia di letterati che onorava sì le rovine, ma chiamava i viventi a concilio sovr’esse: e sfidava o benediceva il dolore pel bene futuro».
«Primo bisogno adunque, urgentissimo, di oggi non di domani, perché non crolli l’artifizioso edifizio della rivoluzione politica, è la rivoluzione nazionale, o la fusione del volgo campagnolo nel gran partito liberale. Prima condizione per ottenete ciò è l’educazione Prima condizione per render l’educazione possibile  è l’alleviamento della sua miseria, e il retto soddisfacimento dei bisogni» (Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, 1859-1860).
«Il volgo rurale è il braccio della nazione: per animar questo braccio bisogna fornirgli quella parte d’intelligenza che è compatibile colle condizioni di agiatezza che potete che dovete fornirgli» (Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, 1859-1860).
Accusato di aver descritto con eccessiva crudezza il comportamento della polizia occupante, Nievo fu processato nel settembre 1856 e condannato nel novembre a una pena pecuniaria. Si difese da solo.
Innamorato di Caterina Melzi Curti, più grande di lui, sposata da anni con un vecchio aristocratico, con un rapporto già consolidato con un giovane amante, «intelligente, spregiudicata, patriota, libera». La loro storia finì male.
«Amo la patria mia: dacché son nato, / fede di servo, di figliol, d’amante / col cor pria che col labbro io le ho giurato. / Quest’altra bella, che mi fa tremare / sol col girar dei rai, / venti lune non son che la incontrai. / Fu là a Venezia in riva alla Piazzetta / che colsi il fior delle sue dolci occhiate, / fu là a Venezia andando in gondoletta / che colsi il fior delle sue labbra amate» (Il primo giorno, Poesie).
A maggio 1860 si imbarca a Quarto coi Mille. Diventa intendente («un ruolo quasi politico, che gli costerà malumori, insinuazioni e polemiche sino alla morte e anche oltre»). Tra il 4 e il 5 marzo 1861 scompare nelle acque del Tirreno in una notte di tempesta che travolge l’Ercole, il vapore sul quale viaggiava portando con sé le carte dell’Intendenza.
Notizie tratte da: Cesare De Michelis, Io nacqui Veneziano… e morrò per grazia di Dio Italiano. Ritratto di Ippolito Nievo Aragno 2012