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 2011  gennaio 09 Domenica calendario

Lincoln e la Guerra di secessione

Il 9 gennaio 1861, esattamente centocinquanta anni fa, il Mississippi decise di lasciare gli Stati Uniti d’America e di assecondare la scelta della South Carolina, compiuta una quindicina di giorni prima, di troncare ogni rapporto con il governo federale di Washington. I due stati non sarebbero più rimasti dentro un’Unione guidata dal primo presidente “repubblicano nero”. Abraham Lincoln era stato eletto alla fine del 1860, ma non si era ancora insediato alla Casa Bianca (allora i presidenti eletti entravano in carica il 4 marzo, non il 20 gennaio come succede dal 1933).
Il giorno dopo, il 10 gennaio, anche la Florida lasciò l’Unione. Poi seguirono l’Alabama, la Georgia, la Louisiana e il Texas. L’8 febbraio, a Montgomery, in Alabama, si tenne il primo congresso degli Stati del sud. La secessione divenne ufficiale. Nacque la Confederazione degli Stati d’America, che adottò una Costituzione simile a quella di Washington. Jefferson Davis venne eletto presidente. Come capitale fu scelta Atlanta e, successivamente, Richmond, in Virginia. Fu quello il primo atto formale di secessione degli stati schiavisti che avrebbe scatenato una guerra civile lunga quattro anni. Sono caduti 617.528 americani, più di quanti ne sono morti nelle due guerre mondiali, in Corea e in Vietnam messi assieme. È stato l’evento più tragico della storia americana, ma anche l’inevitabile catarsi di un paese che fino ad allora era formato da un gruppo di stati antagonisti e litigiosi. La vittoria degli unionisti ha fatto nascere una nazione (come suggerì il titolo del controverso film The birth of the nation del 1915).
Gli Stati del sud erano prettamente agricoli, quelli del nord industriali. Fu uno scontro di interessi economici, più che morale. Le industrie del nord non avevano manodopera sufficiente. La liberazione degli schiavi del sud (nel 1861 erano quasi 4 milioni) avrebbe assicurato un’immensa forza lavoro al nord e portato al collasso l’economia degli stati meridionali basata sui latifondi e sulla schiavitù.
Un ruolo decisivo per la rinascita della nazione l’ebbe Lincoln. Non riconobbe mai la legittimità dei secessionisti, per lui erano solo ribelli. Non intervenne per abolire la schiavitù, ma per difendere la Costituzione, per preservare la rivoluzione indipendentista, per conservare l’idea stessa di America.
Nel discorso inaugurale del 4 marzo 1861, quando ancora non era stato sparato un solo proiettile, cercò di rassicurare gli stati del sud dicendo che i loro diritti, compresi quelli di possedere gli schiavi, sarebbero stati protetti: «Non ho nessun obiettivo, diretto o indiretto, di interferire con l’istituzione della schiavitù negli stati dove esiste», disse Lincoln. Ma dal punto di vista costituzionale, ricordò il neo presidente, «non ci possiamo separare», nessuno stato può «uscire in modo legale dall’Unione».
Il dovere di Lincoln era difendere la Costituzione e le proprietà dello stato federale. La guerra scoppiò in nome del federalismo e contro la secessione il 12 aprile 1861, quando le forze secessioniste attaccarono la caserma militare americana a Fort Sumter nel porto di Charleston in South Carolina. Dopo un giorno di bombardamenti e di combattimenti, i militari americani si arresero. Lincoln aveva provato ad affrontare in modo pacifico i temi sollevati dai ribelli, sulla scia dei compromessi congressuali iniziati nel 1846. Non poteva però accettare che il suo paese perdesse un presidio militare, perché sarebbe venuto meno il collante stesso degli Stati Uniti. Sicché mobilitò 75mila volontari per difendere l’Unione. In estate i soldati erano già 186 mila.
Il saggio Tried by War dello storico della guerra civile James McPherson ricorda che Lincoln non aveva nessuna esperienza militare. Si inventò sul campo la figura del comandante in capo dotandosi dei pieni poteri di guerra che né la Costituzione né le leggi ordinarie avevano immaginato. Il presidente ha dovuto convincere generali riluttanti e spesso incapaci della necessità di sconfiggere il nemico. Li ha guidati strategicamente. Ha tenuto Francia e Inghilterra fuori dal conflitto. Non si è mai dimenticato di coinvolgere l’opinione pubblica, spiegando per bene che l’obiettivo della guerra era difendere l’Unione. Ancora nel 1862, rispondendo a un editoriale del New York Tribune, spiegò in questo modo gli obiettivi della guerra: «L’oggetto principale di questa battaglia è salvare l’Unione, non è né salvare né distruggere la schiavitù. Se potessi salvare l’Unione senza liberare nessuno degli schiavi, lo farei. Lo farei anche se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi. Lo farei anche se potessi salvarla liberando alcuni schiavi e altri no. Tutto ciò che faccio per la schiavitù e per la gente di colore, lo faccio perché aiuta a salvare l’Unione». Il primo gennaio 1863, quando si rese conto che il paese era pronto ad accettare una battaglia per un ideale così alto e nobile, proclamò l’emancipazione degli schiavi.
Ci sono molte similarità tra la guerra civile e le più recenti guerre americane. Lincoln ha impiegato tre anni per trovare il generale giusto per vincere, Ulysses Grant (assieme a William Sherman). In Vietnam il vero leader arrivò soltanto nel 1968 con Creighton Abrams, chiamato a cambiare la strategia del generale William Westmoreland, ma troppo tardi per un’opinione pubblica che non ne poteva più. Anche George W. Bush, con David Petraeus, ci ha messo tre anni a individuare generale e strategia vincenti in Iraq. Barack Obama li ha riproposti in Afghanistan.
Lincoln ha affrontato anche molte critiche per la decisione di sospendere i diritti civili (l’habeas corpus), polemiche sulla conduzione della guerra, indagini parlamentari per individuare incompetenze e corruzioni, mobilitazioni pacifiste dei giornali, dei compagni di partito e dell’opinione pubblica.
Lincoln aumentò anche il bilancio militare federale e convinse i singoli stati a rafforzare le milizie. Fondò l’agenzia delle entrate per finanziare, attraverso le tasse, gli sforzi bellici. Il 6 febbraio 1862, a causa dei costi della guerra, il Congresso ha autorizzato la stampa dei “greenbacks”, le prime banconote emesse da un governo americano. Anche la ferrovia dal Nebraska alla California è stata decisa e finanziata in quegli anni.
L’avvio delle ostilità a Fort Sumter in pochi mesi convinse altri a secedere: Virginia, Arkansas, Tennessee, North Carolina. La metà occidentale della Virginia non condivise la decisione di secedere e si staccò per formare l’attuale West Virginia. Quattro stati schiavisti – Delaware, Maryland, Kentucky e Missouri – rimasero con l’Unione.
Nel luglio 1863, l’esercito unionista fermò l’ultimo tentativo del generale Robert Lee di invadere il nord, a Gettysburg, in Pennsylvania. In quella battaglia morirono più di 50mila soldati. In occasione dei funerali, Lincoln tenne il famoso discorso con cui promise che i caduti non sarebbero morti invano, in nome dell’«ideale della nazione», della «rinascita della libertà» e del «governo di popolo, dal popolo, per il popolo».
Il primo aprile 1865 la capitale confederata si arrese al XXV corpo unionista, composto da truppe di colore. La guerra finì il 9 aprile 1865, con la consegna del generale Lee. Sei giorni dopo, al Ford Theatre di Washington, durante la rappresentazione di Our American Cousin, l’attore John Wilkes Booth era convinto di poter rianimare l’orgoglio sudista. Entrò nel palco presidenziale, sparò e uccise Lincoln gridando Sic semper tirannys, così sempre ai tiranni.