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 2015  agosto 24 Lunedì calendario

Jonathan Franzen contro le femministe: «Non smetterò di essere un maschio». Le polemiche con le donne, il web «come la Ddr», il nuovo libro. Intervista al grande scrittore americano

Il nuovo romanzo di Jonathan Franzen, “Purity”, è ambientato in parte a Santa Cruz, una città della California situata settanta miglia a sud di San Francisco, dove lo scrittore vive con la sua compagna Kathy. La loro casa si trova a metà di una strada a forma di mezzaluna, al limitare di un complesso residenziale di periferia, e si affaccia su un’area verde protetta. Per uno dei più famosi scrittori americani, si tratta di una proprietà modesta, che si affaccia su tre lati sulle abitazioni vicine – molto diversa dalla grandiosa dimora di Philip Roth in Connecticut. Tuttavia, offre delle belle vedute dal giardino (lo scrittore è appas-sionato di birdwatching) e le modeste spese di manutenzione hanno permesso a Franzen di lasciar passare cinque anni senza scrivere un romanzo.
A 55 anni lo scrittore conserva l’aspetto vagamente imbronciato di un uomo più giovane. Nel corso degli anni si è attratto il disprezzo degli utenti dei social media, degli ambientalisti, di alcune correnti femministe, della principale critica letteraria del New York Times e dei sostenitori di Oprah Winfrey. Franzen si dice «ferito» e «imbarazzato», ma non si pente. Non appena una controversia si conclude ne spunta al suo posto un’altra. L’ultima, in ordine di tempo, è stata scatenata da un suo lungo articolo apparso lo scorso aprile sul New Yorker, nel quale lo scrittore suggeriva che, contrariamente ai dati pubblicati dall’associazione naturalista non-profit National Audubon Society, la principale minaccia per la sopravvivenza degli uccelli non è rappresentata dai cambiamenti climatici bensì da pericoli più immediati come la caccia e la collisione con pareti di vetro. La Audubon lo ha accusato di “disonestà intellettuale”, e i suoi membri lo hanno attaccato via internet. Un’esperienza sgradevole ma per certi forse gratificante, dal momento che quell’incidente ha ispirato alcuni dei temi trattati nel suo nuovo romanzo.
Purity racconta la storia di Pip: una ragazza poco più che ventenne, e di un personaggio simile a Julian Assange di nome Andreas Wolf. Un abbinamento inconsueto: un romanzo che tratta di tecnologia, scritto da un uomo che ammette di servirsi della tecnologia a malincuore. Molti anni fa Franzen raccontò di aver messo fuori uso la porta Usb del suo computer per riuscire a fare finalmente ciò che voleva, e più recentemente ha ripreso Salman Rushdie perché perdeva tempo su Twitter. Questa avversione nasce in parte da considerazioni di natura estetica (la brevità imposta da Twitter offende Franzen) ma è al tempo stesso una reazione a ciò che egli chiama il totalitarismo della cultura online, nella quale la rappresaglia della massa può estendersi e divampare con rapidità, basandosi su una disinformazione virulenta. Nel libro il vero “cattivo” della storia è la Rete stessa, paragonata alla Germania dell’Est: «Internet puoi ignorarla o esserne complice, ma in entrambi i casi instauri con lei un rapporto. Ed è questo l’aspetto totalitario». Quanto ai social media, «sembrano un racket di protezione. Se non fai parte di questi meccanismi, il cui obiettivo primario è quello di massacrare le reputazioni, la tua reputazione sarà massacrata». Fa una lunga pausa. «Perché dovrei alimentare un simile meccanismo?».
A differenza del suo amico, il defunto David Foster Wallace, Franzen non è mai stato di moda: non è uno scrittore d’avanguardia e prende tutto troppo sul serio per lo stile postmoderno. Né può essere facilmente ascritto alla cricca dei letterati. «Guardo McEwan, Amis e Hitchens», dice. «Sembrano a una combriccola. Non credo che qui funzioni così. Non si tratta di un gap generazionale. A quanto ne so, le persone non si suddividono in gruppi in base all’età, ma al gusto». Lui si schiera con amici scrittori come Paula Fox, Don DeLillo, David Means e Jeffrey Eugenides. «Con Foer», dice, «abbiamo un rapporto cordiale».
Da tredici anni a questa parte Franzen convive con Kathryn Chetkovich. Ma nelle proprie opere lo scrittore rivisita alcune terribili relazioni del suo passato. Per quattordici anni è stato sposato con la scrittrice Valerie Cornell. Pur tenendo conto di tutte le riserve imposte dall’autobiografia, è chiaro che alcuni elementi di quell’esperienza sono in alcuni passaggi di Purity. Il fatto che Anabel sia una femminista così perversa e fanatica da obbligare Tom ad espiare il fatto di essere maschio sedendosi sul gabinetto per urinare sarà visto dalle detrattrici femministe di Franzen come un gesto aggressivo: «Vi è un certo livello di soddisfazione nell’inserire episodi simili nel libro. Perché so che se una persona è ostile troverà sempre delle munizioni. Ho scritto dei panegirici talmente apologetici su Edith Wharton da rasentare il delirio. E anche il quel caso la gente è riuscita a credere che odiassi Edith Wharton». (Le critiche al saggio di Wharton si basavano sull’osservazione di Franzen che la scrittrice “non era carina”).
«Non sono un sessista, non sono una persona che va in giro dicendo che gli uomini sono superiori, o che gli scrittori maschi sono superiori. Anzi, faccio di tutto per sostenere l’operato delle donne, quando non ricevono un’attenzione sufficiente. Ma non è mai abbastanza. Perché la gente ha bisogno di un “cattivo”. Non posso non essere uomo. Ho la sensazione che non ci sia davvero nulla che io possa fare, se non morire – o, immagino, farmi da parte e smettere di scrivere. Morire, gli suggerisco, non aiuterebbe: a quel punto sarebbe uno scrittore di razza bianca defunto. Una categoria perfino più problematica. «È vero: sarebbe addirittura peggio».
Franzen ha creato alcuni grandi personaggi femminili: Enid Lambert, Patty Berglund, e, in Purity, la madre di Tom, Clelia, il cui nome è un omaggio alla Certosa di Parma di Stendhal. Sono donne dure, maldestre, imbarazzanti, che alla fine si scopre essere delle eroine. Viene da sospettare che il vero crimine di Franzen non stia nei contenuti, ma nella presentazione: la sua propensione a sentirsi vittima di qualche ingiustizia non è apprezzata da chi affronta ostacoli ben più ardui solo per guadagnare la linea di partenza.
Ma c’è qualcosa di coraggioso nella disponibilità di Franzen ad affrontare i contrasti. Di questi tempi ci vuole del coraggio per criticare i social media, così come ce ne vuole per indisporre Oprah, come lo scrittore notoriamente fece nel 2001: fu lei a cancellare l’invito, dopo che lui aveva fatto commenti equivoci riguardo all’opportunità di apparire sul programma durante la fase di promozione del suo libro, e perché si comportò in maniera indisponente quando una troupe arrivò a St Louis per filmare alcune riprese. («Sono tutte fesserie!», esclamò quando gli fu chiesto di posare di fronte a un luogo del suo passato assumendo un’espressione malinconica). «Me ne assumo la colpa, ho detto cose stupide e ferito persone. Ma ne faccio una colpa anche a Oprah, dalla nostra primissima conversazione era evidente che non parlassimo la stessa lingua. Credo che il fatto di essere uomo, e di razza bianca, abbia reso tutto più difficile. Credo che lei fosse pronta a cogliere qualsiasi indizio del fatto che la volessi offendere. Naturalmente in seguito l’ho offesa».
La rabbia è stata diretta verso nuovi obiettivi. Primo tra tutti, internet. Il personaggio di Andreas Wolf è una creatura pre-internet, nata e cresciuta nella Germania dell’Est. Il momento clou del libro è rappresentato da una straordinaria invettiva, se la prende con ciò che lui definisce il Nuovo Regime – e che incidentalmente riprende un commento dello stesso Assange contenuto nella sua raccolta di saggi del 2012, in cui il fondatore di Wikileaks metteva in guardia sul fatto che internet potesse essere trasformata in un «pericoloso facilitatore del totalitarismo». Assange si riferiva soprattutto alle tecnologie di sorveglianza, mentre la critica di Purity si estende ben oltre. Chi è la Stasi, in questa analogia con la Germania orientale? «La Stasi è la tecnologia stessa. La tecnologia è il genio della lampada. La Stasi non aveva realmente bisogno di fare poi molto. Non arrestò così tante persone. Malgrado tutte le risorse di cui disponeva, non riuscì a portare a termine molte operazioni. Quindi puntava sul fatto che le persone si autocensurassero, controllassero il proprio comportamento per paura della Stasi, senza che questa dovesse sollevare un dito». A preoccupare Franzen è l’effetto che le nuove forze potrebbero esercitare sullo scrittore. «I modi in cui l’autocensura opera. La paura di vedersi affibbiare degli epiteti negativi. Le persone diventano molto caute. Ed essere creativi diventa molto difficile. Perché ti preoccupi di come potrebbero etichettarti. La tecnologia di fatto dice: autopromuoviti o muori. Una posizione che per qualsiasi artista è nefasta. Credo che sia questo il motivo per cui oggi c’è bisogno di scrittori seri, che affermino il diritto all’immaginazione. Io posso permettermi di farlo, ma so che per chi è meno tutelato di me è più difficile». Viviamo, crede, in un’epoca più conformista rispetto agli anni Cinquanta. «Credo che le culture del conformismo producano grandi quantità di vergogna, sia in persone che non possono conformarsi che in coloro che si conformano, ma sotto sotto non si sentono conformisti. La misura della vergogna è colma».
Franzen è stato costretto a far chiudere diversi account di Twitter, «perché ho dei problemi con le persone che si spacciano per me. Non sapevo nemmeno come si leggeva Twitter. Ogni tanto qualcuno mi copia qualcosa da Twitter e me la spedisce. Ma non è necessario iscriversi?». Sì, gli dico. Fa una lunga pausa. “Io non voglio iscrivermi”.
(Traduzione di Marzia Porta)
©Guardian News & Media Ltd 2015