Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  agosto 24 Lunedì calendario

Metti un Big Mac nel gelo della Siberia. McDonad’s aggira le sanzioni e apre venti punti vendita. Il franchising con un oligarca: così il Cremlino si è convinto. Un investimento da 40 milioni di euro che ridà fiato all’economia del Paese

Sarà anche fatto di eccellente carne di manzo e servito con squisite patatine fritte “alla contadina”, ma lo “Zar Burger”, alternativa artigianale russa al classico panino “Big Mac”, dovrà attendere ancora un po’ per conquistare il mercato nazionale. Dopo un anno di minacce, ricatti e rappresaglie in stile Guerra Fredda, il colosso americano McDonald’s ha trovato infatti il modo di mantenere il suo primato tra le catene di fast food di Russia e addirittura di rilanciare, estendendo il suo impero commerciale alla lontana Siberia con nuovi investimenti e ulteriori progetti di espansioni future.
Ma non è stata un’impresa facile. Per superare l’ultimo e definitivo ostacolo “McDonald’s” ha dovuto coinvolgere l’azienda locale Inrusinvest in una joint venture da oltre 40 milioni di euro per l’apertura in franchising di venti ristoranti nelle città di Kemerovo, Novosibirsk, Tomsk e nella regione degli Altai. Un accordo che ridà fiato all’economia di aeree particolarmente colpite dalla crisi economica e che piace certamente al governo russo assetato di investimenti e iniziative imprenditoriali nelle depresse regioni orientali.
Non è detto che sia una scelta particolarmente oculata sul piano commerciale ma certamente mette fine a una guerra contro McDonald’s cominciata alle prime tensioni internazionali provocate dall’annessione della Crimea. Simbolo per eccellenza della presenza americana in Russia, McDonald’s diventò un bersaglio. Prima di battute satiriche e poi di inviti al boicottaggio, in verità ignorati dalle masse. Ma l’attacco frontale arrivò dopo le pressioni del governo degli Stati Uniti che obbligò la catena a chiudere i suoi ristoranti in Crimea sotto la minaccia di pesanti sanzioni interne. La risposta russa non si fece attendere. A colpire fu l’apposito organismo per la salvaguardia del consumatore, quello che ha definito “igienicamente insicuri” i formaggi ucraini, e che ad ogni lite con il Giappone per l’eterna questione delle isole Kurili, invita i russi a «non mangiare il sushi per non rischiare gravi malattie». Un’inchiesta sanitaria a tappeto fece chiudere per un minimo di tre mesi oltre 200 degli attuali 500 ristoranti McDonald’s in Russia. Contemporaneamente una tempestiva campagna del governo contro il flagello dell’obesità indicava gli “hamburger di McDonald’s” e solo quelli, come i principali colpevoli del sovrappeso delle giovani generazioni. Come se non bastasse il governo annunciava un finanziamento milionario per l’iniziativa di noti uomini di cultura che intendevano realizzare “Mangiare a casa”, una catena di fast food nazionale con un menù legato alle tradizioni e con un obiettivo preciso: «Sostituire McDonald’s nel cuore e nello stomaco dei russi».
Abituati a districarsi in simili battaglie sin dai tempi dell’Urss, i dirigenti di McDonald’s hanno recepito il messaggio, trattato ad altissimi livelli, accettato i necessari compromessi. Tanto che adesso, nel pieno delle sanzioni occidentali e della tensione tra Russia e Stati Uniti, si preparano a lanciare i loro Big Mac anche oltre gli Urali.