La Stampa, 24 agosto 2015
Buone notizie: è ripartito lo shopping delle imprese italiane. Gli affari superano i 50 miliardi. Anno record per le fusioni e acquisizioni: si torna ai livelli precedenti la crisi del 2008. Le operazioni spingono Piazza Affari, salita da gennaio del 14%: la migliore in Europa
Un anno record per le nozze tra le imprese. Il grande risiko globale, che a fine 2015 dovrebbe sfondare per la prima volta i quattromila miliardi di euro, procede a ritmo serrato anche in Italia. Secondo una fotografia scattata ieri dal «Financial Times», che ha elaborato i dati della piattaforma Dealogic, il valore totale di fusioni e acquisizioni nel nostro Paese ha già toccato quota 59 miliardi di dollari (oltre 51,7 miliardi di euro) e corre verso i livelli del 2007, prima della grande crisi finanziaria. Un balzo in avanti importante rispetto all’anno precedente: nel 2014, sempre secondo Dealogic, il volume d’affari s’era fermato a 37 miliardi di dollari (32,5 miliardi di euro).
È un’Italia sempre più internazionale, quella raccontata dai numeri sull’«M&A». Un Paese che non si rassegna a essere terra di conquista. Anzi. Il quotidiano della City mette in fila le operazioni degli ultimi mesi: a svettare è Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli, che prima ha vinto la battaglia per acquisire il colosso Usa delle riassicurazioni PartnerRe e poi, con 405 milioni, è salita al 43,4% del capitale del settimanale britannico «The Economist». Ma la lista s’allunga con Yoox, il portale dell’e-commerce guidato da Federico Marchetti che ha «sposato» Net-a-Porter incassando il tweet di congratulazioni di Matteo Renzi, e con la famiglia Marzotto: con le holding Zignago e Pfc s’è ricomprata un pezzo di Hugo Boss. Affari su scala globale che compensano in parte casi di aziende italiane passate sotto controllo straniero: Pirelli ai cinesi, Ansaldo ai giapponesi, World Duty Free agli svizzeri. Acquisizioni e fusioni hanno spinto le quotazioni di molte aziende, e così Piazza Affari da gennaio è cresciuta del 14%. Il risultato migliore tra le Borse europee.
Il cambio di passo
Il 2015, sul versante acquisizioni, ha segnato un cambio di strategia per molti. A partire dalla Ferrero. «Siamo pronti ad andare oltre le colonne d’Ercole», aveva annunciato a maggio l’ad Giovanni Ferrero. Un mese e mezzo dopo il colosso del cioccolato ha rotto il tabù, lanciando un’Opa sugli inglesi di Thorntons. L’azienda di Alba ha messo sul piatto 157 milioni di euro. Mentre Lavazza, leader italiano del caffè e settimo torrefattore al mondo, ne ha puntati 800 sui francesi di Carte Noire.
Gli acquirenti seriali
E poi c’è un plotone di «acquirenti seriali» che non ha smesso di fare shopping neppure durante la crisi. Campari, Recordati, Luxottica, Brembo, la «multinazionale tascabile» Amplifon che ha appena comprato trenta nuovi negozi in Germania. Per loro, i confini, non esistono più da tempo. «Siamo in un libero mercato: vince il più forte», dice Franco Moscetti, ad del gruppo specializzato nelle protesi acustiche.
Il caso Italcementi
L’altro capitolo della storia, invece, racconta di investitori internazionali sempre più concentrati sulle aziende italiane che, per i loro ricavi, non fanno solo affidamento al mercato domestico, ancora debole. Nel mirino ci sono gruppi con una presenza internazionale. Italcementi, fusa con il leader tedesco del settore Heidelberg, è un esempio perfetto. Dopo anni di taglio dei costi a causa recessione, le società vanno a caccia di strade per affermarsi, crescere e risparmiare.
Il risiko del credito
Ad alzare il valore di fusioni e acquisizioni, a partire da settembre, toccherà poi alle banche e ai servizi pubblici locali, da Acea ad Hera. «In Italia abbiamo troppi istituti di credito», spiegava il premier Renzi a inizio agosto. Gli stessi giorni in cui le banche Popolari nominavano gli advisor finanziari e legali che le seguiranno nel percorso di consolidamento a cui sono chiamate dopo la riforma del governo che le obbliga alla trasformazione in Spa. Una partita in cui, a giocare un ruolo chiave, saranno i grandi istituti del Nord, da Ubi Banca a Banco Popolare.