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 2015  agosto 24 Lunedì calendario

Bolt, il fulmine colpisce ancora. Ai Mondiali di Pechino il giamaicano rivince l’oro sui 100 metri e respinge l’assalto di Gatlin. Più testa che gambe dietro quel centesimo di distacco, e se n’è accorto anche lui: «Non è stata la mia gara più bella, ma di certo la più difficile»

Dieci minuti prima dello start Usain Bolt aveva già l’oro al collo. Lui ne era quasi certo, il rivale Gatlin non l’avrebbe mai potuto immaginare e lo stadio non osava sperarci. Ma lì il vento è cambiato: il vero fulmine è tornato e gli altri hanno preso la scossa.
I 100 metri di Pechino li racconta il vincitore e ci mette meno del tempo impiegato per correrli: «Non è stata la mia gara più bella ma di certo la più difficile». E la più lunga. Giorni di logorio sul filo della statistica, i tempi di stagione dei due contendenti scanditi come una condanna, i turni studiati apposta per anticipare la sconfitta. Bolt che gigioneggia in batteria e addirittura inciampa in semifinale mentre l’altro schizza a 9”77, un cronometro con cui avrebbe comodamente dominato il podio. Invece no, va al contrario, fuori pronostico e dentro la storia perché Usain chiude in 9”79, il miglior risultato nel 2015, e il chiacchierato Gatlin è dietro a 9”80, a un niente, un margine infinitesimale che non si è mai registrato nelle gare del giamaicano. Di media stritola la concorrenza solo che stavolta il gioco è diverso. Quasi crudele e assolutamente delizioso.
Ha rischiato il crollo
Bolt non entra sereno in camera di chiamata, dietro le quinte degli start è abituato a giocare, ridere, scherzare con i volontari. Prima del record di Berlino, il 9”58 tutt’ora in carica, improvvisava tiri da tre con la maglietta, nel cesto della biancheria. Invece al Bird Nest resta seduto su una panchina, di fronte c’è Powell e i due si guardano senza parlare, di fianco, appoggiato al muro, c’è Gatlin. Sta lì, appollaiato e in qualche modo forse pregusta il ritorno, la presa della velocità. Usain ha appena rischiato di restare fuori dalla finale e persino di finire lungo disteso sulla pista del secondo turno. Si è rianimato giusto prima del crollo e ha trovato le energie per spingere proprio mentre tutto sembrava ormai perso e ora è provato.
Al momento dell’appello si trasforma. Sbuca nel brusio generale e subito si mette di profilo, una mano copre metà della barba e Usain si gira e si rigira, mima il rasoio. Con o senza? Il nostro Tamberi avrebbe potuto dargli la risposta, ma Bolt aspetta il parere dello stadio e gli spettatori sono quasi troppo preoccupati per reagire. Li deve incoraggiare così continua il suo show e frigge il cervello del povero Gatlin.
Alla presentazione la partita è già andata, Bolt gioca a nascondino ed è geniale perché oltre a continuare lo sketch dà anche la chiave della sfida: ci sono o no? L’americano sente il suo nome e squarcia l’aria con le mani, indeciso se ruggire o no. Ed è disorientato perché l’imprevisto è già successo, l’errore è subito evidente e il margine di vantaggio enorme evapora appena Justin realizza l’ovvio. Ha vinto più di 20 gare di fila, è andato 5 volte sotto i 9”80, ha il numero migliore da lanciare nella competizione, il personale di 9”74 registrato solo a maggio. Ma tutto questo non serve a nulla perché in ogni successo mancava Bolt nell’altra corsia.
Più ori di tutti
I due non si incontravano dalla finale Mondiale 2013, vittoria di Bolt e argento di Gatlin. Da allora tutto è cambiato tranne la testa di Bolt: «Se dubiti di te stesso non hai possibilità. Io so di cosa sono capace, stava a me costruire la gara. Non era perfetta però era quella giusta». Ovvero non ha girato al massimo della potenza, «perché io qui cerco di consolidare la leggenda, restare primo fino al ritiro. I record adesso non mi interessano». Corre per essere il migliore atleta della storia ed è già quello con più ori Mondiali, nove: «Bene, sono questi i primati che inseguo per lasciare il segno». Di certo ha marchiato Gatlin che gli ha tributato il giusto: «È il Phelps del nostro sport» poi è scoppiato a piangere davanti allo spogliatoio è si è sfogato in un tweet sibillino «ho il futuro davanti, Bolt no». Aveva un oro decisivo in tasca e se lo è lasciato sfilare ai blocchi. Aveva studiato tutto, tranne l’effetto Bolt ed è rimasto fulminato.