Il Messaggero, 24 agosto 2015
La Cina dice stop alla politica del figlio unico. Alla fine degli anni ’70 Deng Xiaoping provò a frenareil boom demografico imponendo un solo erede a famiglia. Oggi si prepara una vera rivoluzione sociale
Le condotte filiali riprovevoli sono tre, la peggiore delle quali è quella di non lasciare eredi. Questo scriveva Mencio, uno dei seguaci più illustri di Confucio, più di duemila anni fa. Ma fu solo nel ventesimo secolo che la stessa prescrizione morale, riformulata però secondo i criteri dell’ideologia corrente, raggiunse il suo massimo effetto (in pochi anni il numero di cinesi raddoppiò grazie anche a un miglioramento generale delle condizioni di vita): stiamo parlando dell’affermazione di Mao secondo cui più grande è la popolazione più grande sarà il potere.
Milioni di cinesi trovarono nelle parole del grande timoniere una conferma in più alla secolare prassi della dura vita dei campi per cui una famiglia numerosa equivaleva anche all’unica forma di previdenza sociale.
Quindi vennero gli anni ‘60 e anche la Cina si pose il problema del gigantismo demografico: nel 1968 usciva il bestseller di un professore della Stanford University ’The Population Bomb’ che sconvolse le coscienze di milioni prevedendo catastrofi planetarie, carestie di portata biblica, rivolgimenti sociali se non si fosse subito agito sul controllo delle nascite. La politica del figlio unico, che entrò in vigore sotto Deng Xiaoping alla fine degli anni ’70, è anche figlia di quelle paure fiorite un decennio prima e in tutt’altro contesto geografico e culturale.
LA SVOLTA
Oggi, dopo quasi quarant’anni, la Cina potrebbe decidere di passare dalla politica del figlio unico a una del doppio figlio. La popolazione cinese in età lavorativa (ossia dai 16 ai 59 anni) ha infatti subito un calo rispetto all’anno precedente di 3,71 milioni di individui (e il numero dovrebbe ulteriormente ridursi di oltre 60 milioni entro il 2030). La nazione sta invecchiando in fretta: non proprio un segnale di salute per un paese che nei prossimi anni ha scommesso su una crescita sostenuta della domanda interna.
Ma se la legge del figlio unico è stata rigorosamente applicata verso quegli impiegati degli uffici pubblici, ospedali, scuole, che difficilmente potevano nascondere una gravidanza allo Stato di cui erano dipendenti, le famiglie dei piccoli villaggi se la sono sempre cavata con un’ammenda. La necessità secolare di avere un erede maschio – in Cina una figlia femmina è considerata già alla nascita come ‘proprietà altrui’ (quella della famiglia dell’uomo che sposerà) – ha creato le condizioni per cui, nonostante il divieto, non è affatto raro trovare oggi famiglie composte da quattro, cinque e perfino sei individui (dove il maschio ultimogenito rappresenterebbe appunto, secondo l’antica prassi, l’unico effettivo concepimento andato a buon fine).
Fino agli anni duemila avere un figlio maschio non era solo una questione legata alla successione della terra, era anche una questione pratica: per i lavori di fatica un maschio faceva la differenza. Ancora oggi, nonostante la Cina si appresti a compiere il fatidico passaggio da un’economia basata su un’industria di tipo pesante a una centrata sulla domanda interna e sui servizi, il settore agricolo impiega ben un terzo della forza lavoro complessiva.
Liang, che ha ventotto anni, viene da un piccolo centro nei pressi di Tianjin, e si ritrova con tre sorelle maggiori. I genitori per ben tre volte hanno fallito il tentativo di ottenere l’agognato figlio dal sesso ‘giusto’ (dal 2001 è vietato ai medici cinesi di rivelare il sesso del feto).
LA STORIA
Liang ricorda quando il funzionari locali portarono via la madre nel tentativo di forzare l’aborto della secondogenita. La famiglia se la cavò con una mazzetta. Poi i funzionari si presentarono di nuovo quando la sorella venne al mondo. La questione venne definitivamente chiusa con una sanzione.
Già due anni fa l’alleggerimento della politica del figlio unico – che ha permesso alle coppie con un coniuge figlio unico di concepire una seconda volta – ha contribuito lo scorso anno a 470.000 nascite in più rispetto all’anno dell’entrata in vigore della legge: in totale significa 17 milioni di nuovi nati.
La Cina potrebbe essere già attrezzata per assorbire una nuova ondata di nascite. A dispetto di alcuni servizi giornalistici che giravano sui media internazionali un paio di anni fa dove si raffiguravano città fantasma prive di abitanti frutto solo della speculazione edilizia, oggi si scopre non solo che quegli inviati avevano maliziosamente puntato le loro telecamere su sfondi selezionati ad hoc per proiettare un’immagine di assoluto abbandono e fare così colpo sugli ignari telespettatori, ma quegli stessi grattacieli di trenta piani all’apparenza spettrali erano già allora occupati al 20%, (una percentuale bassa, ma non nulla) e oggi al 50% (dunque con ampi margini per contenere un mini-boom demografico). Il giornalismo moderno caratterizzato da speculazioni scandalistiche quando non vere e proprie bufale nasce alla fine dell’800, di contro la Cina dall’alto dei suoi 40 secoli di storia ha sempre studiato con estrema calma (con l’eccezione dei rari furori rivoluzionari) le proprie mosse. Insomma un gigante di razza va giudicato alla fine, mai all’inizio, di quello che è un lungo e travagliato percorso sulla via della modernizzazione.