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 2015  agosto 24 Lunedì calendario

C’è un nuovo buco nei bilanci pubblici, di cui non si saprebbe niente se non lo avesse scoperto, ieri, il Corriere della Sera: la Consulta, chiamata in causa dalla Corte dei Conti, ha giudicato incostituzionale il bilancio d’assestamento 2013 della Regione Piemonte, che è stato stilato con criteri analoghi a quelli adoperati nelle altre Regioni, a parte la Lombardia

C’è un nuovo buco nei bilanci pubblici, di cui non si saprebbe niente se non lo avesse scoperto, ieri, il Corriere della Sera: la Consulta, chiamata in causa dalla Corte dei Conti, ha giudicato incostituzionale il bilancio d’assestamento 2013 della Regione Piemonte, che è stato stilato con criteri analoghi a quelli adoperati nelle altre Regioni, a parte la Lombardia. Ne deriva che tutti i bilanci regionali, a pare quello lombardo, sono incostituzionali e vanno riscritti, aumentando l’esposizione di ciascun ente. Mario Sensini, che ha scoperto la cosa, valuta il buco tra i 9 e i 20 miliardi, tutti da pagare. E a pagare, alla fine, saremo noi.

Il concetto mi è chiaro, ma intanto si tratta di definire personaggi e interpreti, Corte dei Conti, Corte costituzionale, ecc.
Le ripeto quello che sono costretto a spiegarle ogni volta: la Corte dei Conti è un organo della magistratura che guarda il come e il quanto delle spese di tutte le amministrazioni pubbliche e, dopo aver guardato, giudica. In questo caso la via seguìta è nuova: la Corte dei Conti ha chiamato in causa la Corte costituzionale e rimesso a lei la responsabilità della sentenza. La lente è stata posta sul bilancio di assestamento del Piemonte e la Corte costituzionale ha confernato i sospetti della Corte dei conti: il bilancio è incostituzionale. Non si faccia impressionare dall’espressione “bilancio di assestamento”: è semplicemente un bilancio a cui sono state apportate le opportune correzioni, in entrata e in uscita. Mi auguro lei sappia che con la parola “bilancio” intendiamo quel documento in cui qualunque persona giuridica è obbligata a registrare, secondo criteri prestabiliti, entrate e uscite.  

Dove avrebbe sbagliato la Regione Piemonte, nel 2013 se non sbaglio governata dal leghista Roberto Cota, a capo di una giunta di centro-destra?
In quell’anno lo Stato prestò alle Regioni 26 miliardi, vincolandoli al saldo dei debiti che ciascuna Regione aveva verso i suoi fornitori. Cota ha lamentato parecchie volte di aver trovato un buco di due miliardi nelle casse piemontesi, determinato, a suo dire, dalla precedente gestione di Mercedes Bresso. Però la giunta di centro-destra fece poco per intaccare quell’esposizione: alla fine del 2012 il debito determinato dalla sola Sanità aveva superato i quattro miliardi. La Regione Piemonte, secondo quanto ha sentenziato la Corte costituzionale, prese i soldi che le erano arrivati per saldare i fornitori e li adoperò per tutt’altro scopo, inserendoli in bilancio addirittura come “mutuo”. E la cosa non è ammessa. Un giro d’orizzonte sulle altre regioni mostra che si sono tutte comportate allo stesso modo. Hanno preso i 26 miliardi destinati ai fornitori e ci hanno fatto, come si dice, politica. Adesso, ogni regione deve restituire il maltolto.  

E come si fa?
Probabilmente ci vorrà una legge per spalmare il debito su molti anni. Ma il guaio è serio. La finanza locale è alla frutta. L’abolizione delle province, che doveva far risparmiare qualcosa, avrà invece un costo di due miliardi. I sindaci stanno protestando per l’annuncio della soppressione della tassa sulla prima casa. L’insieme dei risparmi decisi nel 2008, e che si ripetono ogni anno, vale 40 miliardi. Il taglio diretto dei trasferimenti ha sottratto 22 miliardi. La sforbiciata sulla sanità ha tolto di mezzo altri 17,5 miliardi. Sindaci e governatori hanno deciso che di altri tagli non vogliono sentir parlare. La stessa Corte dei Conti si chiede, in un passaggio della sua relazione, se il comportamento del governo non sia alla fine censurabile: chiede agli enti locali di fare certe cose, ma non fornisce i mezzi per realizzarle.  

Il federalismo non doveva essere la panacea di tutti i mali?
Ma il federalismo, di fatto, non è stato mai realizzato. Non c’è federalismo se non si instaura il sistema per cui, prima di tutto, ciascun ente locale (lasciamo stare, adesso, quanti e quali debbano essere questi enti locali) raccoglie i soldi per conto suo, cioè ha capacità impositiva. In altri termini: fin dall’inizio il nostro sistema ha funzionato con lo Stato accentratore che mette le tasse e poi redistribuisce i soldi tra tutti quanti. Il federalismo imporrebbe invece che a mettere le tasse sia il Comune o la Regione, il quale potrà essere giudicato poi dai cittadini sulla base di quanto ha preteso e sull’uso che ha fatto del denaro. Senza questo, non si tratta di federalismo, ma di moltiplicazione delle poltrone e delle clientele. La Corte dei Conti denuncia «il rischio non solo di nuovi squilibri economici, ma anche di un’endemica conflittualità tra i livelli territoriali di governo». Conflittualità che è già in atto.  

Soluzioni?
Bisognerebbe azzerare tutto e ricominciare daccapo. Mi viene il mal di testa solo a pensarci.