Macchina del Tempo, 21 agosto 2015
La Guerra di secessione in ottomila battute
«Gli Stati Uniti nel 1860: un unico Paese ma due sezioni, il Nord e il Sud, quasi completamente diverse tra loro». Così lo storico Leo Huberman descrisse la situazione prima della guerra civile americana nel suo”We, the people”. Quella frattura continua a pesare sull’immaginario collettivo statunitense: lo dimostra il profluvio di film e libri che rievocano quel momento storico. Come”Ritorno a Cold Mountain”, pellicola firmata da Anthony Minghella con Jude Law e Nicole Kidman, da poco nelle sale.
«Abbiamo bisogno di bibbie, scope, secchie e libri, e ci
rivolgiamo al Nord; di penne, inchiostro, sigilli e buste, e ci rivolgiamo al Nord; di scarpe, cappelli, fazzoletti, ombrelli, coltelli tascabili, e ci rivolgiamo al Nord; abbiamo bisogno di mobili, terracotte, giocattoli, sillabari, libri scolastici, vestiario alla moda, macchinari, medicine, pietre tombali e di un migliaio di altre cose, e ci rivolgiamo al Nord». Così, nel 1857, Hilton Helper, un latifondista del Sud, tentava di convincere i suoi concittadini che acquistare i prodotti del Settentrione significava impoverirsi. Perché il Sud non aveva sviluppato un’industria come quella del Nord? Semplice: aveva un prodotto che si vendeva da solo e la terra adatta a coltivarlo. Il cotone.
Nel Sud, dal 1790 al 1860, la produzione di cotone passò da 2 milioni a 2 miliardi di libbre. I viaggiatori europei raccontavano stupiti di come si potesse cavalcare per giorni senza vedere altro che cotone. Il sistema delle grandi piantagioni era possibile solo grazie alla schiavitù. La schiavitù, a sua volta, per essere redditizia, imponeva il sistema della monocoltura. La monocoltura, però, aveva un difetto: impoveriva il terreno. Per questo, dopo venti-trent’anni, gli appezzamenti venivano venduti a basso prezzo e la coltura si spostava più a ovest.
Insomma, il Nord aveva sopravanzato il Sud in ogni campo della vita pubblica, eccetto che in politica. Dal 1790 al 1860 i piantatori del Sud avevano ottenuto la maggior parte di presidenti e giudici della Corte Suprema, e il controllo di almeno un ramo del Congresso. L’equilibrio fu rispettato fino al 1860, quando gli Stati del Meridione andarono a sbattere contro la storia. La colpa non fu dei settentrionali, ma della natura: andarono a sbattere contro il 98° meridiano. Più a ovest la coltivazione del cotone non era più redditizia: lì cominciava la pianura americana.
Allo scoppio della guerra i dissidi tra Nord e Sud duravano da almeno sessant’anni. Al Congresso si battagliava su tutto (dazi, tasse, schiavitù), sempre dividendosi a seconda dell’appartenenza geografica: il Nord voleva un governo forte, l’unificazione monetaria e una politica di spesa espansiva, il Sud tutto il contrario. Il movimento abolizionista fu solo la goccia che fece traboccare il vaso.
Il primo carico di schiavi neri arrivò a Jamestown (Virginia) nel 1619: nel 1690 ce n’erano già 20.000. Si cercò, senza successo, di usarli come uomini di fatica nel Nord; nel Meridione si rivelarono perfetti per il lavoro dei campi: alla vigilia della guerra civile ce n’erano 4 milioni. La questione legislativa fu sistemata nel 1820 col cosiddetto compromesso del Missouri: la schiavitù non sarebbe stata permessa al di sopra della latitudine 36° 30’, corrispondente al confine meridionale del Missouri che, essendo uno Stato schiavista, faceva eccezione. Nel 1854 il Congresso dichiarò schiavisti i nuovi Stati Kansas e Nebraska, abrogando di fatto il compromesso: le proteste che ne seguirono, al Nord, diedero vita al Partito repubblicano, che nel 1860 portò un suo uomo alla Casa Bianca: Abraham Lincoln. In quel momento, i latifondisti del Sud capirono che anche il loro predominio sulla politica americana era finito e l’unica alternativa alla sottomissione era uscire dall’Unione. Nel dicembre di quell’anno, la Carolina del Sud dichiarò di non fare più parte degli Stati Uniti d’America, presto imitata dagli altri Stati schiavisti. Erano nati gli Stati Confederati d’America: il loro presidente fu Jefferson Davis. Per Lincoln questo era inaccettabile. Il presidente parlava dell’Unione con toni quasi religiosi: una nazione che avrebbe dovuto diffondere la libertà in tutto il mondo e che garantiva quella degli americani dalla tirannide. L’Unione andava mantenuta anche a costo della guerra.
E la guerra scoppiò il 12 aprile 1861. Lincoln s’affidò al Piano Anaconda. Lo aveva elaborato il generale Winfield Scott, comandante dell’esercito Usa all’inizio della guerra: mirava a piegare il Sud costringendolo alla fame con l’azione combinata di un vigoroso blocco navale e d’una pressione militare sulle regioni di confine. Lincoln, però, pressato dall’opinione pubblica e convinto che un attacco deciso avrebbe spazzato via i ribelli, diede ordine al generale McDowell di invadere la Virginia: il 21 luglio 1861 l’esercito unionista attaccò a Bull Run, ma subì una pesante sconfitta e ripiegò verso Washington.
La situazione sembrava bloccata, ma i nordisti colsero importanti vittorie su quello che si rivelò un fronte cruciale: la valle del Mississippi, nell’ovest. Nel gennaio 1862, un’armata guidata dallo sconosciuto generale Ulysses Grant sfondò le linee confederate nella zona orientale del Kentucky: dopo 6 mesi [luglio-agosto 1862] le truppe dell’Unione controllavano il corso del fiume fino a Memphis e avevano conquistato New Orleans. All’est, invece, dopo aver respinto un’avanzata unionista verso la capitale Richmond, i confederati, a fine agosto, sconfissero nuovamente il nemico a Bull Run e varcarono il Potomac. La guerra arrivò in territorio nordista, ma ci rimase poco: le truppe di Lee furono respinte ad Antietam il 17 settembre. Fu quest’ultimo successo a convincere Lincoln a emanare il suo proclama di emancipazione: dal 1° gennaio 1863 tutti gli schiavi degli Stati ribelli sarebbero stati liberi. Intanto, la guerra proseguiva. Tra la fine del 1862 e l’inizio del ’63, il generale Lee strapazzò più volte l’esercito unionista e a giugno invase nuovamente l’Unione, puntando su Washington: tra l’1° e il 3 luglio 1863 i due eserciti si affrontarono a Gettysburg (Pennsylvania) nella più grande battaglia della guerra civile. Per tre giorni Lee lanciò assalti disperati quanto inutili alle difese nordiste, al quarto fu costretto a ritirarsi verso la Virginia: il Sud non sarebbe più tornato all’attacco.
Nel marzo 1864, il presidente Lincoln affidò l’esercito a Grant che, alla testa dell’armata del Potomac, il 3 maggio attaccò la Virginia, mentre il suo luogotenente Sherman puntava sulla Georgia. Le battaglie furono durissime, ma il 2 settembre 1864 gli unionisti occuparono Atlanta. E Lincoln, in novembre, fu rieletto presidente. A quel punto anche Lee aveva i giorni contati: s’arrese a Grant il 9 aprile 1865 ad Appatamox (Virginia). A maggio la guerra era finita. Ma Lincoln non riuscì a vederlo: il 14 aprile 1865 venne ucciso in un teatro di Washington.
650.000 morti, circa 275.000 i mutilati. Questo il bilancio della guerra civile americana, la prima guerra moderna: s’affrontarono eserciti formati da cittadini di ogni classe sociale; i generali unionisti allargarono il concetto di obiettivo militare a tutto ciò che potesse contribuire allo sforzo bellico; entrambi i contendenti affidarono parte delle loro speranze di vittoria alle innovazioni tecnologiche. Per la prima volta si fece largo uso di ferrovia e telegrafo in operazioni militari, sul mare fecero il loro debutto le corazzate, a terra spararono i primi fucili a retrocarica. Si sperimentarono anche alcuni prototipi, come mitragliatrice, sottomarino, mina subacquea, ma in forme troppo rudimentali per avere un peso decisivo. Gli studiosi hanno a lungo meditato se la guerra civile abbia segnato una svolta nella storia americana. La risposta è sì, ma non nel senso a cui generalmente si pensa. La schiavitù fu abolita, ma sarebbero dovuti passare decenni prima che gli afroamericani acquistassero i diritti di cittadinanza nel loro Paese. Il risultato di più lungo periodo fu un altro: in gioco c’era la forma politica della nazione, il peso del governo federale. Dopo la sconfitta del Sud, fu chiaro che gli Stati Uniti sarebbero stati per sempre un’unica nazione e Washington il centro nevralgico. I capitalisti del nord avevano ragioni per volerlo e forza per imporlo, i confederati avevano perso già prima di combattere.
Marco Palombi