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 2015  agosto 21 Venerdì calendario

Il sorbo dell’uccellatore, l’alberello generoso che dà vita a tutti gli abitanti del giardino. Le sue bacche sono un toccasana per merli, tordi e passeri, i suoi fiori fanno la gioia di api e farfalle. E oltre tutto è immune dalle malattie

Piantare un sorbo dell’uccellatore (Sorbus aucuparia) è un piccolo gesto dalla grandi conseguenze, che può trasformare il giardino in un vero brulichio di vita. È infatti un alberello che sa dispensare con estrema prodigalità e senza differenze di sorta: tutti gli abitanti del giardino possono trarne grandi benefici, ciascuno secondo le proprie necessità. A cominciare dai volatili, merli, tordi e passeri in testa: le bacche rosso-aranciate del sorbo sono per loro una vera salvezza, soprattutto nelle più fredde giornate invernali. E che dire degli uccelli di passo, che dei frutti del sorbo fan grandi abbuffate per affrontare i loro lunghi viaggi. Anche i ghiri, i tassi, le volpi rosse e gli scoiattoli ne sono ghiotti, mentre i fiori bianchi, riuniti in grandi corimbi, ben poco profumati ma assai nettarini, sanno fare la gioia di api e farfalle...

Simbolo russo Anni 20
Non stupisce che il Sorbus aucuparia sia stato così studiato nella Russia degli Anni Venti: una pianta tanto prolifica e generosa, adatta a quei climi, non disdegnando i posti freddi e gelati, e così votata al servizio della comunità, poteva ben diventare il simbolo botanico di quei tempi. Ed anche, perché no, un concreto mezzo di sostentamento per il Paese. Fu I. V. Michurin, illustre genetista e padre della moderna teoria dell’ibridazione, il primo ad incrociare il sorbo degli uccellatori con diverse specie di Malus, di Pyrus e di Mespilus: nel suo giardino di Tambov, vicino a Mosca, in quello che diventerà poi uno dei centri di ricerca sulla genetica agraria più importanti della Russia leninista, Michurin riuscì ad ottenere ibridi di sorbo dalle grandi proprietà nutritive, anche se forse dal sapore non proprio eccellente...
Nei nostri giardini, come in tutti quelli dell’Europa centrale e meridionale, dove fortunatamente il clima è più mite e si possono coltivare ben altri frutti, è giusto che il sorbo sia dedicato esclusivamente ai piaceri degli animali. E non più per irretirli e cacciarli, come avveniva un tempo, quando i sorbi venivano piantati nei roccoli italiani e stranieri ed i loro rami intrecciati con sottilissime reti. Da cui il nome di sorbo dell’uccellatore: Papageno docet. D’altronde il sorbo ha assunto in passato significati ben più simbolici e... pacifisti. Nelle alture della Moravia era usanza degli antichi pastori, ogni primavera, guidare al pascolo il bestiame con ramoscelli di sorbo, in segno di buon augurio, e per lo stesso motivo con il suo legno venivano costruiti i manici di zappe, forconi ad altri attrezzi agricoli. Quello stesso legno su cui pare che secoli prima i druidi incidessero le loro rune, simboli di un alfabeto magico attraverso cui leggere il futuro...

Quasi indistruttibile
Coltivare il Sorbus aucuparia è davvero una festa per gli occhi: in primavera per le sue bianche fioriture, in estate per l’esplosione di bacche rosse che ricoprono l’albero e rimangono sui rami fino ad inverno inoltrato (fare una passeggiata lungo la strada che porta al bel borgo di Usseaux, in alta Val Chisone, per credere...) ed in autunno perché la chioma disordinata assume le più belle tonalità di giallo e di oro. Essenziale è che il luogo scelto sia fresco: il sorbo dell’uccellatore è un albero di montagna media e alta e nei giardini di pianura rischia di soffrire e di crescere stentato. È bene piantarlo a partire dai cinquecento metri d’altitudine, fin anche ai duemila, in posizione sempre assolata. Crescerlo è davvero facilissimo: è una delle piante a foglia decidua più resistenti al gelo ed è praticamente immune da malattie e da parassiti, ad eccezione del fungo della ruggine (Gymnosporangium cornutum) che può talvolta farne avvizzire le foglie. In quanto al terreno si adatta praticamente a tutto, tollerando sia suoli calcarei che acidi e torbosi, purché sempre leggeri e ben aerati. Se avessi la fortuna di coltivare un giardino sulle pendici montane, anche sulle più povere purché assolate, non esiterei...