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 2015  agosto 21 Venerdì calendario

E Renzi si accorge che gli mancano 10 miliardi di euro. Il premier pensava che la “flessibilità europea” valesse un punto di Pil, sarà (forse) lo 0,4%. Le coperture del governo – se tutto va davvero bene – ammontano a circa 20 miliardi contro 27 miliardi di impegni di spesa tra quelli inderogabili e le promesse del premier. Un altro campanello d’allarme, poi, arriva dalla crescita del Pil: già riuscire a centrare il +1,4% previsto per l’anno prossimo dal governo sarebbe una buona cosa, ma gli analisti (vedi Moody’s) ne dubitano assai

Se fossimo in uno di quei corsi sul saper vivere o a una riunione degli alcolisti anonimi potremmo dire che la consapevolezza di avere un problema è il primo passo per risolverlo. Se è così, Matteo Renzi ha fatto il primo passo: s’è accorto che le molte promesse fatte per l’autunno sono al momento senza una possibile copertura finanziaria. Se tutto va bene, e non è detto, la stima del premier è che gli mancano tra i 7 e i 10 miliardi. L’ulteriore problema, per il nostro, è che quei soldi – com’è emerso nelle riunioni di staff tra Palazzo Chigi e Tesoro – non sanno nemmeno dove prenderli.
I conti della serva/1. Ecco l’elenco di tutte le “uscite”
Spiega una fonte ministeriale: “Appena ti siedi a scrivere il prossimo bilancio dello Stato davanti ai 25 miliardi di impegni: se vuoi fare qualcosa di più si sale a 30”. Il conto è davvero di quelli che una volta si chiamavano “della serva”. Eccolo: le clausole di salvaguardia – cioè gli aumenti automatici di tasse già deliberati per garantire alla Ue il rispetto dei vincoli di bilancio – nel 2016 valgono 16 miliardi tra incrementi di Iva e accise più tagli alle detrazioni fiscali. A questa partita vanno aggiunti circa 800 milioni di buco causati dalla bocciatura Ue del meccanismo dell’inversione contabile Iva (reverse charge) per la grande distribuzione e altri 700 milioni per l’abolizione della Robin Tax sulle compagnie petrolifere, dichiarata incostituzionale. La promessa di Renzi di abolire l’Imu-Tasi sulla prima casa, i macchinari “bullonati” al suolo e i terreni agricoli vale circa 5 miliardi. Poi ci sono gli impegni finanziari a cui il governo è obbligato per le sentenze della Consulta su statali e pensioni: per rinnovare il contratto del pubblico impiego, fermo da sei anni, servono 1,6-1,8 miliardi; la maggior spesa previdenziale dovrebbe essere di 1,5 miliardi. Siamo già a circa 25 miliardi, che diventano 27 se si aggiungono le cosiddette spese indifferibili (ad esempio le missioni militari). Il conto sale ancora se si aggiungono le iniziative allo studio: la proroga degli sgravi alle assunzioni a tempo indeterminato (0,5-1,5 miliardi a seconda della platea); le misure per le imprese come il credito d’imposta sugli investimenti in macchinari o gli industrial bond (0,5-1 miliardo); la flessibilità in uscita verso la pensione (lasciare il lavoro prima con qualche penalizzazione dell’assegno) e le misure contro la povertà (2-3 miliardi). C’è poi il problema delle molte Province vicine al dissesto e dei nuovi equilibri di bilancio cui devono sottostare per legge Comuni e Regioni dal 1 gennaio 2016: sono più stringenti, ha dimostrato la sperimentazione, e Palazzo Chigi vorrebbe far slittare l’applicazione di un anno, ma il Tesoro s’è opposto perché ritiene che senza quello strumento si rischia un’esplosione della spesa corrente.
I conti della serva/2. Ecco le coperture possibili
Il governo ha già detto che nel 2016 riuscirà a fare spending review – cioè tagli di spesa – per 10 miliardi: l’obiettivo non è affatto certo e persino chi si occupa del dossier dice che è difficile andare oltre la metà. Certo, potrebbero entrare nella partita anche le detrazioni, deduzioni e agevolazioni fiscali – che a bilancio si chiamano “spese fiscali” – o essere conteggiati in questa partita i risparmi da spread basso (minori interessi pagati sul debito pubblico), che dovrebbero valere fino a 5 miliardi l’anno prossimo. Poi c’è la partita sulla flessibilità concessa dall’Europa a chi fa le riforme, il vero equivoco che ha ingenerato i problemi di Renzi.
Fino a pochi giorni fa, il ragionamento del premier era il seguente: il deficit nominale programmato per il 2016 è all’1,8%, ma noi diremo a Bruxelles che per quest’anno andremo al 2,8-2,9%, restando comunque sotto il limite del 3%. Un punto di Pil vale, all’ingrosso, spazio di spesa per 15-16 miliardi e il gioco è fatto: in sostanza si tratta di rinviare (di nuovo) di un anno, o meglio ancora di due, il percorso verso il pareggio di bilancio. C’è un problema: anche Renzi ora ha capito che in Europa non tira aria di generosità. Il massimo che si potrà ottenere – è la sua convinzione – è una flessibilità dello 0,4% tra spesa corrente e investimenti: 6-7 miliardi. Insomma, le coperture del governo – se tutto va davvero bene – ammontano a circa 20 miliardi contro 27 miliardi di impegni di spesa tra quelli inderogabili e le promesse del premier. Un altro campanello d’allarme, poi, arriva dalla crescita del Pil, che poteva dare un po’ di respiro: già riuscire a centrare il +1,4% previsto per l’anno prossimo dal governo sarebbe una buona cosa, ma gli analisti (vedi Moody’s) ne dubitano assai. E non è detto che petrolio e spread stiano così bassi per sempre…