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 2015  agosto 21 Venerdì calendario

E nel processo su Mafia Capitale il Pd chiede i dabbi a se stesso. Matteo Orfini fa sapere infatti che il suo partito si costituirà parte civile. Critico Bechis: «Certo Orfini, grande esperto di Playstation e biliardino, poco o nulla capisce di giustizia, e probabilmente manco sa cosa sia una costituzione di parte civile. Per farlo bisognerebbe essere stati danneggiati, e potere chiedere quindi un risarcimento. Solo che a Roma in questi anni il Pd è stato il danno, non il danneggiato

Con una faccia tosta che lascia allibiti il presidente del Pd, Matteo Orfini, ha cinguettato ieri mattina l’intenzione del suo partito di costituirsi parte civile nel processo contro Mafia Capitale che si aprirà a Roma il 5 novembre. Certo Orfini, grande esperto di Playstation e biliardino, poco o nulla capisce di giustizia, e probabilmente manco sa cosa sia una costituzione di parte civile. Per farlo bisognerebbe essere stati danneggiati, e potere chiedere quindi un risarcimento. Solo che a Roma in questi anni il Pd è stato il danno, non il danneggiato. Tanto che alla sbarra fra i 59 che affronteranno il processo di Mafia Capitale la maggiore parte sono esponenti e arrampicatori nella fila di quel partito.
Per costituirsi parte civile i vertici del Pd dovrebbero semmai mettersi davanti a uno specchio, e chiedere i danni alle figure che trovano di fronte. Era del Pd uno dei primi indagati dell’inchiesta: l’ex presidente del consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti. Con lui finisce alla sbarra il compagno e addetto alla segreteria Franco Figurelli. Era un rampante del Pd Daniele Ozzimo, assessore alla Casa del Campidoglio nella giunta di Ignazio Marino finito agli arresti e ora a processo per corruzione. Era del partito presieduto da Orfini Pierpaolo Pedetti, consigliere dell’assemblea capitolina nonché presidente della VII Commissione patrimonio e Politiche abitative del Campidoglio. Era un manager pubblico Pd Guido Magrini, dirigente Politiche sociali regione Lazio. Stesso partito dell’ex presidente del Municipio di Ostia Andrea Tassone. Del Pd Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto del presidente della Regione Lazio. Del partito di Orfini Marco Vincenzi, capogruppo in Regione Lazio fino ai primi di giugno, quando è arrivata la seconda ondata dell’inchiesta. Del Pd Eugenio Patanè, ex consigliere regionale del Lazio indagato nella prima tranche dell’inchiesta. E del Pd molti altri citati e sospettati nelle pagine dell’inchiesta, quando non espressamente indagati. Fra loro anche due capigruppo in consiglio comunale che si sono passati il testimone in breve tempo per le faide interne a quel partito.
Se dunque c’è un partito che è stato simbolo di Mafia Capitale, quello è stato proprio il Partito Democratico. Ci sono esponenti di altri partiti indagati, certo, anche pesci interessanti e di peso. Ma una retata piena di paranza come quella fatta dai magistrati di Roma dalle parti del Nazareno non si è vista: numeri da riempire un braccio intero di una grande prigione, importi di corruzione con cui a Roma «se magnava» da anni. Se Orfini vuole farsi risarcire i danni dai suoi ex amici nonché dirigenti del suo partito, libero di farlo, aprendo una causa civile al Tribunale di Roma e preparandosi alle loro pernacchie. Perchè quelli avranno pure fatto i birbanti con Salvatore Buzzi & c, ma poi i dividendi del loro bel lavoro li ha colti tutto il partito, anche quello commissariato da Orfini. E perfino il sindaco di Roma, Marino.
Non è un mistero infatti che i principali imputati di questo processo, i grandi corruttori, abbiano finanziato (non una tangente, ma una prebenda utile poi a potere corrompere in santa pace) sia il Pd nazionale che la federazione romana. Hanno finanziato Matteo Renzi presentandosi copiosi alla tavola delle sue cene di fundraising. Hanno finanziato la fondazione personale del premier, quella Open che ha affiancato anche economicamente la sua scalata ai vertici del Pd. Buzzi ha pagato anche metà della campagna elettorale di Marino, con versamenti sì regolari, ma assai pesanti in quel rendiconto.
Quando il 5 dicembre scorso a scandalo appena scoppiato la Lega delle cooperative decise subito di restituire i soldi ricevuti alla luce del sole da Buzzi, chiesi a Orfini se anche il Pd intendeva farlo. Tanta determinazione in quell’occasione mancò: il poverello farfugliò qualcosa fra «non so», «vedremo», e passò all’attacco: «ma questi sono soldi puliti legittimamente presi» e lasciò a un futuro remoto ogni decisione.
Con meno ipocrisia di lui il tesoriere renziano del Pd al Senato, Mauro Del Barba, mi spiegò che col cappero quei soldi sarebbero stati restituiti: «se passa il principio che poi vanno ridati indietro ogni volta che qualcuno dei finanziatori viene beccato a fare qualche marachella, siamo fritti». Se c’è qualcuno che avrebbe il diritto di costituirsi parte civile non è il Pd, ma l’assemblea degli ex carcerati che lavora nelle cooperative di Buzzi. Sono in mutande dopo questa vicenda, senza colpe.
E dovrebbero costituirsi parte civile proprio contro il Pd e perfino contro Ignazio Marino, tutti responsabili della loro spoliazione. Non dovevano accettare i soldi dati da Buzzi né sopra né sotto il tavolo. Perchè una cooperativa sociale vive solo del lavoro di quei soci dalle vite balorde, e non dovrebbe avere panna da regalare al politico di turno. Sono colpevoli il Pd e Marino di avere preso soldi da una coop sociale: è un delitto fra i peggiori di questa storia. Non infrange norme del codice penale. Ma della coscienza, eccome.