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 2015  agosto 20 Giovedì calendario

Il problema di unificare la lira

1. SOLO LA MEMORIA E LA STORIA RIESCONO a farci capire davvero i grandi cambiamenti, vere e positive rivoluzioni, soprattutto se raffrontati con la realtà nella quale si viveva in Italia nel Novecento e ancor più nell’Ottocento. Questo sguardo all’indietro consente di apprezzare appieno grandi conquiste realizzate prima con l’Unità d’Italia e poi, di recente, in Europa con la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali, nonché con la nascita della moneta comune, l’euro.
Interessanti i racconti che documentano le caratteristiche delle condizioni di viaggio in Italia nell’Ottocento sulla base di diari, di epistolari e delle preziose «guide turistiche» dell’epoca. Da questi racconti emergono alcune significative e oggi inimmaginabili esperienze di vita e di viaggio.
Il critico d’arte inglese John Ruskin ha descritto le numerose ed esasperanti soste obbligate nel viaggio effettuato nel 1840 fra Bologna e Parma: «Sono giunto alfine alla meta dopo aver subito l’assalto di una folta schiera di doganieri. Vediamo nell’ordine: porta di Bologna, uscita: passaporto e gabella. Ponte, mezzo mista piu avanti: pedaggio. Dogana, due miglia innanzi, lasciati gli Stati Pontifici. Passaporto e gabella. Dogana, dopo un quarto di miglio, entrati nel Ducato di Modena, prima l’ufficiale della dogana, poi l’addetto ai passaporti. Versato un tributo ad entrambi. Porta di Modena, entrata: dogana, gabella, passaporto. Porta di Modena, uscita: passaporto e gabella. Porta di Reggio, dogana, gabella, passaporto. Porta di Reggio, uscita: passaporto, gabella. Cambio di cavalli, più avanti: passaporto, gabella. Entrata nel Ducato di Parma, ponte: pedaggio, dogana, gabella, passaporto. Dunque in totale sedici soste, con una perdita media di tre minuti e un franco ogni volta. Quello della dogana di Modena non s’è rabbonito per meno di cinque paoli: l’ufficiale pontificio di Bologna ci ha assicurato che in coscienza non poteva evitare la perquisizione per meno di una piastra. Nell intero sistema c’è un che di furtivo e di obiettivo: arriva il doganiere, poggia la mano lurida sulla carrozza e non molla la presa finché non vi infili un franco, altrimenti attacca a frugarti».
Consuete erano anche le difficoltà dei viaggiatori di fronte ai complessi e vari sistemi monetari propri dei tanti Stati e staterelli dell’Italia (così come di gran parte del resto d’Europa) prima del Risorgimento: le «guide turistiche» fino all’Unità d’Italia contenevano, infatti, tabelle pieghevoli con le raffigurazioni delle principali monete di ogni singolo Stato italiano, essendo assai difficile orientarsi.
Il processo di unificazione monetaria realizzato nel nostro paese, dunque, molto racconta anche del processo di unificazione monetaria europea. Prima dell’unità, in Italia vi era una vera e propria babele monetaria in cui circolavano le più disparate monete, fra le quali baiocco, carantano, carlino, doppia, ducato, fiorino, franceschino, francescone, lira, lirazza, marengo, onza, paolo, papetto, piastra, quattrino, scudo, soldo, svanzica, tallero, testone, zecchino. Nei territori che nel 1861 costituirono l’Italia unita, circolavano complessivamente 236 diverse monete e se si aggiungono quelle del Veneto e di Roma il totale sale a 282.
Il processo per la creazione dell’euro ha quindi un significativo precedente nella nascita della lira italiana dopo la seconda guerra d’indipendenza. Prima di allora l’Italia era divisa in sette tra Stati e staterelli, dove le rispettive zecche (ben dodici) coniavano monete sulla base di parametri di valore fra loro distinti. Il diritto a battere moneta era infatti vissuto come tangibile attributo della sovranità. Molte zecche furono soppresse dopo l’Unità d’Italia e solo quelle di Torino, Milano e Napoli rimasero in funzione dopo il 1861 per il nuovo Stato nazionale, fino al 1870. Dopo la presa di Roma le zecche furono concentrate in Milano, cui successivamente fu associata la nuova capitale nazionale. Dal 1893 la zecca di Roma è divenuta l’unico stabilimento monetario italiano.
2. La diffusione delle banconote negli antichi Stati preunitari italiani era, invece, limitatissima: al momento dell’unificazione, l’ammontare totale delle banconote circolanti non raggiungeva un quinto della massa monetaria complessiva. La circolazione cartacea si basava di solito su un rapporto privato tra emittente e portatore. Solo nel 1866, anno della terza guerra d’indipendenza, le emissioni cartacee divennero prevalenti su quelle monetarie.
L’unificazione monetaria italiana post-risorgimentale ebbe anzitutto bisogno della definizione di un’unità di conto unica per tutto il nuovo Stato (come è l’euro per l’Europa) che si sostituisse alle diverse monete correnti negli Stati preunitari. Tutto ciò avvenne con una certa sollecita gradualità a seguito dei fatti d’arme, dei moti rivoluzionari e dei plebisciti risorgimentali che decretarono l’unione delle varie province al regno sardo-piemontese e non, com’è avvenuto per l’euro, per libera scelta di convergenza simultanea dei vari Stati europei.
Mentre il valore delle varie valute europee è stato fissato di comune accordo dai governi degli Stati dell’Unione a fine 1998, anche sulla base delle quotazioni maturate sui mercati internazionali, dal 1859 in poi per definire il valore delle monete degli Stati italiani preunitari e della nuova lira si fece riferimento al contenuto di metallo (soprattutto argento, spesso anche oro) in ciascuna di esse. Ciò agevolò fortemente l’unificazione monetaria risorgimentale e le fasi transitorie che videro, per qualche anno, la contemporanea circolazione delle monete degli antichi Stati preunitari e quelle, di nuovo conio, del neonato regno d’Italia.
Parallelamente all’unificazione monetaria italiana si sviluppò, con ben maggiore gradualità, un processo di concentrazione e di unificazione di banche e istituti di emissione. La valuta cartacea che ebbe la maggior diffusione nazionale fu quella emessa dalla Banca nazionale sarda, con sede in Torino, poi trasformata in Banca nazionale nel Regno d’Italia (ben s’intenda: «nel» e non «del» regno, poiché non era l’unica), che avrebbe assorbito gli istituti di emissione di alcuni Stati preunitari – in particolare la Banca degli Stati parmensi, la Banca delle quattro legazioni (con sede a Bologna) – mentre sopravvissero a lungo come istituti d’emissione autonomi la Banca nazionale toscana e i Banchi di Napoli e di Sicilia.
Negli Stati italiani preunitari la circolazione cartacea, quando e dove esisteva, si svolgeva in modo nettamente autonomo da quella monetaria, che era l’unica ufficiale. Le caratteristiche delle banconote o dei titoli venivano fissate non dallo Stato, ma dall’istituto emittente. Il presupposto fondamentale della circolazione cartacea consisteva nel chiaro obbligo per gli istituti emittenti di cambiare immediatamente la banconota o il titolo cartaceo in monete di metallo quando il portatore lo richiedesse. Non a caso, fino alla nascita dell’euro le banconote emesse dalla Banca d’Italia, subito dopo la definizione dell’ammontare (per esempio «lire cinquemila») recavano sempre la vecchia locuzione «pagabili a vista al portatore», anche se da tempo non era possibile la conversione in monete d’oro o d’argento.
Dal maggio 1866, alla vigilia della terza guerra d’indipendenza, fu sospeso l’obbligo del cambio (la convertibilità) dei biglietti emessi dalle banche con le monete di Stato, essendosi allora decisa l’adozione del «corso forzoso» della lira. Come per il passaggio all’euro, anche per l’unificazione monetaria italiana fu non solo definita la parità di cambio con le vecchie valute nazionali, ma anche prevista una fase transitoria, durante la quale hanno circolato simultaneamente sia le vecchie valute sia l’euro.
3. La lira divenne anche un emblema fondamentale della sovranità nazionale. Dal 1859 (scoppio della seconda guerra d’indipendenza), man mano che si dissolvevano i regimi degli antichi Stati evolveva il processo di unificazione italiana e in tempi diversi per le varie province veniva esteso il corso della lira piemontese (poi lira italiana), fissando le parità di cambio ufficiali con le vecchie monete che per qualche anno continuarono a circolare.
Nelle province lombarde l’estensione della lira piemontese avvenne con la seconda guerra d’indipendenza, subito dopo l’occupazione degli eserciti francese e piemontese. Nelle ex legazioni pontificie delle Romagne, fin dal giugno 1859 il governo provvisorio di Bologna dette corso legale alla lira, così come avvenne qualche mese dopo per la Toscana, le Marche e l’Umbria.
Luigi Carlo Farini, dittatore dell’Emilia e governatore delle Romagne, prima ancora del plebiscito per l’unificazione dei vecchi ducati emiliani e delle legazioni della Romagna fece coniare e mise in circolazione delle monete in argento e in oro del tutto simili a quelle sardo-piemontesi, ma con scritte diverse, come quella che apparve sulla moneta argentea da cinque lire dove lo scudo sabaudo fu circondato dalle parole «Dio protegge l’Italia». Il tutto rappresentava una sostanziale anticipazione propagandistica dei plebisciti che si sarebbero tenuti dopo pochissimi mesi.
La conversione monetaria fu compiuta dal governo nazionale italiano in circa un quindicennio, comprendendo anche il Veneto (1866) e il Lazio (1870). La fase transitoria cominciò ad essere superata con l’entrata in vigore della legge organica sull’unificazione monetaria, approvata dal parlamento italiano nell’agosto 1862.
Il governo di Urbano Rattazzi, tramite il ministro dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio Gioacchino Napoleone Pepoli (bolognese, discendente di Napoleone Bonaparte e di Gioacchino Murat, patriota delle Romagne nel 1859, poi deputato e senatore, ambasciatore e sindaco di Bologna), nella relazione che accompagnava la proposta di unificazione monetaria motivò tale scelta con alcune argomentazioni emblematicamente addotte anche a sostegno dell’euro. Tra esse, l’attribuzione alla nuova moneta di un valore certo e costante per evitare speculazioni sui cambi e proteggere produttori e consumatori dalle alterazioni dei prezzi, per la sicurezza e la stabilità dei commerci.
Il ritiro delle monete degli antichi Stati si prolungò fino al 1894, anche se dal 1870 riguardò quasi esclusivamente le valute di vecchio conio borbonico e pontificio.
I vantaggi dell’unificazione monetaria italiana furono storicamente indubbi per la crescita dell’economia nazionale. Questa è la grande speranza che ha spinto a promuovere l’euro e non va vanificata. L’Europa è innanzitutto uno spazio di libera circolazione delle persone, oltre che delle merci e dei capitali; uno spazio in cui si ampliano le possibilità di vivere, lavorare e studiare, in cui si moltiplicano le possibilità di scambio. Di tutto questo la moneta comune è simbolo costruttivo; di tutto questo la moneta deve essere un mezzo, non il fine.