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 2015  agosto 20 Giovedì calendario

La Cina evita il crollo in Borsa con una maxi iniezione di liquidità da 100 miliardi di dollari alle banche. Ieri ennesima giornata di panico sui mercati di Shanghai e Shenzen. Intanto i timori sull’Asia e il costo del petrolio - ieri a New York è precipitato ai minimi da sei anni sotto i 41 dollari - hanno affossato le piazze europee

Ennesima giornata di panico sulle Borse di Shanghai e Shenzen, risolta solo dall’intervento provvidenziale delle autorità di Pechino. Le Borse cinesi continuano a tremare e, anche ieri, i listini sono arrivati a perdere fino all’8 per cento. A evitare il crollo, mentre aumentano i timori sulla tenuta delle banche cinesi, è stata la maxi-iniezione di liquidità effettuata dalla Banca centrale: quasi 100 miliardi di dollari, tratti dalle enormi riserve di valuta estera, per rafforzare il capitale della China Development Bank (48 miliardi) e della Export-Import Bank of China (45 miliardi). Questi due istituti, che rischiavano di piegarsi davanti al peso delle sofferenze, sono considerati fondamentali per continuare a finanziare i grandi progetti infrastrutturali della Cina.
I timori in Europa
Per sostenere le Borse Pechino ha fatto poi un’altra piccola operazione ad hoc: acquistare titoli azionari per 22 milioni di euro, soprattutto di banche e assicurazioni. I mercati si sono così stabilizzati del tutto: Shanghai ha chiuso le contrattazioni in aumento dell’1,23%, comunque ben al di sotto della soglia dei 4000 punti che fino a poco tempo fa era descritta come «vitale». Mentre Shenzhen è avanzato del 2,19% e solo l’indice di Hong Kong, l’Hang Seng – non sostenuto da nessun acquisto governativo – ha terminato in calo, scendendo dell’1,3%.
Il petrolio ancora giù
I timori sull’Asia e il costo del petrolio – ieri a New York è precipitato ai minimi da sei anni sotto i 41 dollari – hanno affossato le piazze europee. Francoforte ha perso il 2,14%, Londra l’1,88%, Milano l’1,77% e Parigi l’1,75%. La frenata del Dragone preoccupa anche la Federal Reserve: «La possibilità di ricadute negative da una più lenta crescita della Cina solleva preoccupazioni», si legge nei verbali pubblicati ieri. Secondo la Banca centrale americana le condizioni per un aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti «si stanno avvicinando», ma non sono ancora state centrate.
Gli investitori in fuga
In Cina, in ogni caso, sembra chiaro che i grandi investitori e quelli istituzionali hanno scelto di defilarsi e aspettare che la tormenta passi, preoccupati per la fragilità dell’economia. Sono soprattutto i piccoli risparmiatori a restare attivi sul mercato: cercano di vendere azioni il più in fretta possibile e confermano che la Borsa, di questi tempi, è solo per chi ha nervi d’acciaio e fondi inesauribili.
Il nodo dello yuan
E poi, c’è la valuta. Ieri lo yuan ha tenuto, ma non tutti si fidano ciecamente delle rassicurazioni della Bank of China. Ecco dunque che la banca centrale vietnamita ha deciso, per la terza volta dall’11 agosto – quando Pechino per la prima volta sconvolse i mercati monetari con una svalutazione a sorpresa, a ridosso di un calo dell’8,3% delle esportazioni – di svalutare la sua moneta, il dong, dell’1%. L’obiettivo è mantenere l’export competitivo: negli ultimi anni, man mano che la Cina diventava più costosa, molte industrie hanno deciso di delocalizzare verso il Vietnam, che ha potuto dunque godere di un certo boom economico e di una crescita superiore al 6%. Ma la svalutazione cinese potrebbe mettere a repentaglio la capacità del dong di restare competitivo e per il Vietnam di attirare investimenti, scatenando una pericolosa reazione a catena per l’economia del Paese asiatico, dove la moneta non fluttua del tutto liberamente, ma è in parte controllata dalla Banca centrale vietnamita.