La Stampa, 20 agosto 2015
Anche Alex Boettcher vuole vedere il figlio: «Sono il padre di Achille». Milano, la burocrazia impedisce al compagno di Martina Levato la firma sull’atto di riconoscimento Il neonato è stato portato dalla mamma: lo può allattare solo indirettamente, usando il tiralatte
Ricapitolando: Martina ha rivisto ieri mattina suo figlio per 40 minuti – «Un’emozione fortissima poterlo abbracciare» – ma non ha potuto allattarlo se non indirettamente con il tiralatte; il padre di Achille che non è il marito ma solo il compagno vorrebbe vedere suo figlio ma per ora per un intoppo burocratico non solo non glielo hanno ancora fatto incontrare ma non ha nemmeno potuto firmare l’atto di riconoscimento formale.
Dove finiranno Martina Levato e suo figlio – in una struttura protetta o chissà dove – lo si saprà tra qualche giorno e nell’attesa rimangono alla clinica Mangiagalli, uniti e separati per 23 ore e 20 minuti al giorno. Dove finirà il piccolo Achille – con quale mamma e con quale famiglia – lo si saprà invece tra mesi, alla fine delle indagini sulla pratica di adottabilità aperta dal tribunale dei minori di Milano.
Il paradosso
Sta diventando grottesca la querelle giudiziaria di Martina Levato e Alex Boettcher, la studentessa bocconiana di 23 anni e il broker di 31, condannati a 14 anni di carcere per le aggressioni con l’acido e puniti da un insieme di cavilli e di codicilli di cui si fa fatica a venire a capo. L’ultima situazione paradossale riguarda proprio Alex Boettcher. «Voglio lo status di padre per poter vedere mio figlio», scrive dal carcere di San Vittore. Ha scritto al sindaco Giuliano Pisapia, ai magistrati che si occupano del caso, al Tribunale dei minori che dopo il riconoscimento da parte di Martina e il suo parere favorevole al riconoscimento di Alex ha dato il nullaosta alle pratiche burocratiche.
Basterebbe una firma ad Alex Boettcher per riconoscere suo figlio, che all’anagrafe è registrato solo come Achille Levato. Il problema è che non esiste una normativa sulle missioni dei messi comunali in carcere per espletare questi atti. In teoria il broker dovrebbe andare negli uffici comunali di via Larga ma ovviamente non può farlo fino al 2029, a fine pena. Avvocati e magistrati si stanno dannando per capire come fare. Ma è forse l’ultimo dei problemi di questa storia che si è ingarbugliata da subito, da quando Achille è nato, proprio a Ferragosto, con il solo magistrato di turno festivo e gli uffici giudiziari chiusi.
Il primo problema da affrontare è dove finiranno Achille e sua madre, una volta dimessi dalla clinica Mangiagalli. Potendo vedersi tutti i giorni, Achille glielo portano a orari concordati in una culla termica coperta da un lenzuolino per evitare troppa curiosità in ospedale, sarebbe normale collocarli nella stessa struttura. Ma non è detto che finisca così.
Il futuro
La soluzione più semplice sarebbe mettere madre e figlio all’Icam la struttura a custodia attenuata di Milano dove vengono rinchiuse le madri con i figli fino a tre anni, data in cui si spera che il Tribunale dei minori abbia deciso se Achille è adottabile o meno e risposto a tutte le obiezioni e le impugnazioni. O potrebbero andare in carcere a Como, la struttura più vicina con un asilo nido. Oppure Achille potrebbe finire in una casa comunale e sua madre in carcere, complicando ancor di più i loro incontri. In attesa di sapere se il piccolo Achille trattato come un pacco postale potrà stare con sua madre. O con i nonni già pronti a fare domanda di affido. Cosa possibilissima ma solo tra mesi, alla fine dell’iter del Tribunale dei minori.