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 2015  agosto 20 Giovedì calendario

Le vittime del talidomide, nati senza braccia né gambe a causa del sedativo, chiedono un risarcimento allo Stato. Per 50 anni non si sono visti riconoscere nulla, ora spetta al Senato: il divieto di vendita «rimase scritto solo sulla carta, perché le istituzioni non seppero farlo osservare a causa delle disfunzioni e delle inefficienze di un sistema sanitario e farmaceutico obsoleto degli anni 60 e i mezzi di comunicazione non erano confrontabili a quelli odierni». Altro che figli di un Dio minore

Al ritorno dalle ferie, tra gli scontri selvaggi su Senato, immigrazione, Italicum e altro ancora, i parlamentari si troveranno sul tavolo un problema apparentemente piccolo piccolo ma pesante come un macigno per poche persone: Argentina, Monica e i talidomidici «a tempo scaduto». Portano la stessa croce di tanti altri nati prima di loro senza mani, senza braccia o senza gambe. Ma non si sono mai visti riconoscere un risarcimento.
Un passo indietro. Nel lontano 1954, come ricorda il sito V.i.ta. (vittime italiane talidomide) una casa farmaceutica tedesca, la Chemie Grünenthal di Stolberg, vicino ad Aquisgrana, «depositò ed ottenne il brevetto per Contergan, a base di talidomide, il “miracoloso” farmaco anti-nausea e sedativo. Le prove ed i test eseguiti su organismi animali diedero, infatti, risultati eccellenti evidenziando un basso profilo di rischio per la scarsissima tossicità registrata rispetto ai sedativi allora presenti sul mercato».
Tanto bastò perché nel ‘57 la Grünenthal, «sulla scorta delle entusiasmanti proprietà del farmaco» avviasse «una campagna marketing senza eguali: il talidomide venne pubblicizzato su una cinquantina di autorevoli riviste scientifiche, la scheda descrittiva delle sue proprietà farmacologiche venne distribuita capillarmente a 250.000 medici e venne effettuata una campagna nella quale si sottolineava la completa sicurezza del farmaco, talmente sicuro che se ne consigliava l’uso ai bambini».
Campagna sinistramente trionfale: distribuito come un farmaco da banco con nomi diversi in 46 paesi, il tranquillante portò la casa farmaceutica a «superare di 5 volte le vendite dei suoi principali competitors». Finché nel ‘59 la farmacologa Frances Kelsey, del Food and Drug Administration, morta proprio nei giorni scorsi, vietò la vendita del prodotto negli Stati Uniti salvando la vita (come le avrebbe riconosciuto John Fitzgerald Kennedy premiandola alla Casa Bianca) a migliaia di bambini americani. E mettendo in allarme gli scienziati più avveduti di mezzo mondo. Finché nel 1961 Widijung Lenz, dopo inequivocabili esperimenti sugli animali, dimostrò la pericolosità del farmaco. Tanto che pochi mesi dopo la casa farmaceutica lo ritirò dal mercato.
L’Italia ci mise un po’ a capire la gravità della cosa. E solo nel 1962 decise di vietare la vendita di 15 farmaci prodotti da sette industrie farmaceutiche contenenti il talidomide. Troppo tardi: quelle medicine avevano già fatto tra le 350 e 400 vittime di handicap vari. Più i bambini nati morti, gli aborti spontanei… Colpa della Grünenthal, colpa delle autorità tedesche che non avevano controllato gli effetti collaterali, ma colpa anche dell’Italia che si era fidata senza verifiche proprie dell’affidabilità della farmaceutica tedesca. Fu così che, mezzo secolo dopo, l’Italia si decise ad ammettere le proprie responsabilità e a risarcire nel 2008 per proprio conto (manca ancora il risarcimento diretto della Grünenthal che solo nel 2012 ha chiesto scusa) le vittime di quei farmaci non controllati con un indennizzo che può arrivare nei casi più gravi a 4.360 euro mensili. Non tutti, però. Solo quelli «affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell’amelia, dell’emimelia, della focomelia e micromelia, nati dal 1959 al 1965».
Un termine che aveva un significato preciso: lo Stato ammetteva di non essere probabilmente riuscito a far passare il divieto in modo capillare, farmacia per farmacia, dottore per dottore ma più ancora mamma per mamma, se non dopo un paio di anni dal divieto di vendita. Una confessione d’impotenza oggi in via di adeguamento con la scelta di dare l’indennizzo, grazie alle battaglie soprattutto di Benedetto Fucci e Carlo Giovanardi, anche ai nati nel 1958 e 1966. Ma che potrebbe ulteriormente esser aggiornata se a Palazzo Madama passerà un emendamento a quella legge del 2008 che prevede di estendere l’indennizzo «ai nati dal 1966 al 1969 affetti da sindrome da talidomide che dimostrino documentalmente l’assunzione di talidomide da parte della madre nel periodo della gravidanza».
Possibile che sei anni dopo il divieto ci fossero ancora mamme così ignare di questa tragedia mondiale da prendere uno di quei farmaci antinausea magari trovati nel cassetto delle medicine? Sì, rispondono in una lettera aperta Argentina Romanelli e Monica Pagnin: «E i segni indelebili che portiamo addosso sono la prova evidente di quanto diciamo». E allegano, vincendo dolorosamente il pudore, le loro foto. Dove sono chiare le mutilazioni compiute da quella che i medici chiamano, nel loro gergo talvolta feroce, «teratogenesi»: dal greco «creazione di mostri».
C’è chi dirà: sono sempre nati, purtroppo, dei Figli di un dio minore. Anche prima della talidomide. Basti vedere il quadro «Gli storpi» di Pieter Bruegel o le foto di Freda Pushorik nata senza braccia né gambe nel 1922 in Pennsylvania o ancora antiche cronache come quella di Luca Landucci nel «Diario fiorentino» nel 1512: «E a dì di 11 marzo 1511 ci fu come a Ravenna era nato d’una donna un mostro, el quale venne qui disegnato…».
Argentina, Monica e gli altri «talidomidici fuori tempo massimo» dicono di no: il loro carnefice fu proprio il farmaco maledetto in quanto il divieto di vendita «rimase scritto solo sulla carta, perché le istituzioni non seppero farlo osservare a causa delle disfunzioni e delle inefficienze di un sistema sanitario e farmaceutico obsoleto degli anni 60 (allora non esistevano nemmeno le Asl!) e i mezzi di comunicazione non erano confrontabili a quelli odierni». E così «il farmaco continuò a circolare indisturbato e con i suoi ultimi colpi di coda continuò a mietere vittime fino alla fine degli anni 60». Possibile? Certo, era un altro mondo. Non c’era il web col suo diluvio di informazioni, c’erano solo due canali Rai con molti meno Tg di oggi, non c’erano le tv private, non c’erano molti dei giornali che oggi sono tra i più letti… E su quelli che esistevano già uscivano in specchietti a una colonna, piccole piccole, notizie terrificanti come questa: «688 bambini deformi nati in un anno in Italia». Dove, chissà per quale suicida ritegno, non c’era neppure la parola talidomide nonostante il farmaco fosse già stato proibito.
Un punto, in ogni caso, è fuori discussione: Argentina, Monica e i pochi altri nati «a tempo scaduto» non possono vivere con miserabili pensioncine di 255 euro al mese. Una umiliazione: «Già ci fa vedere il buio all’orizzonte pensando a quando non ci saranno più i nostri familiari...».