Africana, 19 agosto 2015
Massimiliano d’Asburgo in Messico (1854-1867)
La conducta de Maximiliano en el sitio de Querétaro, fué la de un digno principe, ha de Napoleon III en Sedan, fué la de un soldado vulgar. Con la suya Maximiliano conquistò el aprecio basta de su contrarios. Napoleon con la suya se enagenó el de sus propios adidos.
Niceto de Zamacois [1]
A Miramare, il castello che Massimiliano d’Asburgo (n. 1832) edificò in Trieste, egli fece intessere sulle sete scarlatte del maniero: Equidad en la Justicia, motto messicano che accompagnò gli ultimi anni dell’infelice austriaco. Forse non esiste nella storia delle relazioni internazionali un atto di imposizione politico-militare su un Paese, accompagnato da un ripensamento sì repentino quanto inappellabile, come l’abbandono a se stesso dell’imperatore del Messico.
1. Il decennio della Riforma (1854-1964)
Il movimento riformista prese piede il 1° marzo 1854 con il Piano di Ayuda: rafforzare l’ideale repubblicano e codificare l’opportuna giurisprudenza. Si approvarono le seguenti leggi di tenore liberal-illuministico: soppressione dei tribunali ecclesiastici e militari (25 novembre 1855: legge Juárez); svincolo dei beni di manomorta (legge Lerdo: 25 giugno 1856); nazionalizzazione dei beni ecclesiastici: all’Art. 3 prevedeva l’indipendenza assoluta del potere civile e la libertà religiosa (12 luglio 1859); introduzione del matrimonio civile (23 luglio 1859); stato civile e persone fisiche (28 luglio 1859); cessazione di qualsiasi intervento della Chiesa nei cimiteri (31 luglio 1859); fissazione delle feste nazionali e proibizione di partecipazione ufficiale alle funzioni ecclesiastiche (11 agosto 1859); libertà dei culti (4 dicembre 1860); secolarizzazione di ospedali e istituti di beneficenza (2 febbraio 1861); estinzione, in tutto il Paese, delle comunità religiose (26 febbraio 1863).
Animatore della Riforma fu Benito Pablo Juárez García (1806-72, pr. 1858-72): essa salvò il Paese dal disfacimento; favorì la circolazione di idee e progetti politici; innalzò il primato della ragione; fece capire il significato della libertà; dette allo Stato una Costituzione moderna (5 febbraio 1857) e forse salvò il territorio messicano rimasto dal totale inglobamento negli Stati Uniti d’America (infra). Essa, però, non affrontò direttamente la questione della terra in un Paese in cui la mancata disintegrazione del latifondo lasciava intatte le prerogative della nobiltà feudale e degli ecclesiastici, a cui favore giocavano i rapporti di produzione e forza della società messicana. Lo stesso Art. 27 della Costituzione, pur rifacendosi alla legge Lerdo per quanto riguarda i beni della Chiesa, proibiva, in merito alla proprietà delle persone, l’occupazione e l’esproprio, a parte la pubblica utilità (invocata, comunque, ben poco) e sempre con indennizzo [2].
Nonostante la moderazione della Riforma, scoppiò la guerra civile sin dal 1858 fra i liberali e i conservatori sostenuti dalla Chiesa. I primi conquistarono la capitale nel 1861, e i secondi chiamarono le potenze europee con le quali, quando al governo, avevano contratto debiti. Come vedremo i francesi rimisero la capitale nelle mani dei conservatori nel giugno del 1863. La monarchia fu ben vista sia dai conservatori che da Parigi, per cercare di annullare le conquiste della Riforma.
Il partito conservatore rappresentava ricche famiglie messicane ed il clero, i quali avevano perso gli antichi privilegi a seguito dell’indipendenza del Paese dal dominio spagnolo e a causa dei governi liberali, e quindi si rivolgevano ai monarchi europei, attraverso i loro rappresentanti nel Vecchio Continente, per restaurare le proprie prerogative. Essi erano un’esigua minoranza, in quanto la stragrande maggioranza di agrari, uomini d’affari e commercianti metropolitani e provinciali, avevano già raccolto moltissimo dalla Riforma e acquistato terre già ecclesiastiche.
La borghesia e il capitale straniero (in gran parte francese), pur di fronte ai successi militari del piccolo napoleonide, erano però certi che il Paese non avrebbe mai proceduto stabilmente in senso monarchico. I conservatori non sarebbero stati più i credibili cani da guardia degli interessi di compradores e capitalisti. Ed è qui che si staglia la tragica figura scespiriana dell’Asburgo.
2. L’offerta del Secondo Impero
Un conservatore riparato in Europa, José Maria Gutiérrez de Estrada (1800- 67), concepì il disegno – col parere favorevole della Francia e di altre potenze – di istituire una monarchia messicana con a capo l’Arciduca d’Austria, Ferdinando Massimiliano Giuseppe d’Asburgo (n. 1832). Massimiliano ventiduenne fu nominato Ammiraglio comandante supremo della Marina Imperiale da guerra, e cinque anni più tardi Viceré del Lombardo-Veneto (10 marzo), con esclusione del comando militare (imparò l’italiano). Nel viaggio intrapreso dall’Arciduca attorno al mondo sulla fregata Novara per finalità scientifiche (30 aprile 1857-26 agosto 1859), egli si recò in Brasile (5-31 agosto 1857), in Cile e a capo Horn (aprile-maggio 1859). Egli fu uno degli studiosi – assieme a von Echweg, Natterer, e altri - che completò le ricerche del loro maestro, Alexander von Humboldt (1769- 1859), in merito a conoscenze geografiche ed esplorative della regione [3].
Voluto maggiormente da Napoleone III (1808-52-70-f73) che cercava di approfittare della guerra civile di secessione negli Stati Uniti d’America impossibilitati a far rispettare la dottrina del presidente James Monroe (1758-1831, pr. 1817-25)
e che in seguito non riconobbero mai l’esecutivo del giovane imperatore – Massimiliano fu uno strumento del Bonaparte per i suoi equilibri europei, dopo la stipula, il 31 ottobre 1861, della Convenzione di Londra [4] con Spagna e Gran Bretagna allo scopo di imporre al Messico il pagamento dei debiti a francesi e svizzeri (Parigi aveva preso a suo carico i crediti dei banchieri elvetici).
Da qui all’intervento il predetto passo armato fu breve. Decisi ad imporre ai messicani l’indennizzo voluto e delle scuse, le flotte prima spagnola, poi francese e britannica sbarcarono a Veracruz fra il dicembre 1861 e il gennaio 1862 (38 navi da guerra). Il governo messicano firmò un accordo con le tre potenze, il 19 febbraio 1862, conosciuto come Los Preliminares de La Soledad [5]. Tal documento fu avallato da spagnoli e britannici, ma non dai francesi che pur firmandolo erano intenzionati nel progetto imperialista. Il 9 aprile, Spagna e Gran Bretagna sospesero i negoziati della Convenzione di Londra e abbandonarono il Paese, dopo aver ricevuto soddisfazione e in quanto non avevano così forti interessi, al punto da correre il rischio di un coinvolgimento militare. I francesi arrivarono al punto da fomentare la calunnia che il capo del corpo di spedizione spagnolo, gen. Joan Prim i Prats, conte di Reus (1814-70), ambisse al trono di Montezuma. Inoltre la Spagna era contraria a che al vertice dell’esecutivo fosse uno straniero, preferendo piuttosto un capo di Stato, espressione dei messicani stessi:
A Prim no le fué difìcil comprender que Almonte [infra] babfa intentado deslumbrar al gobierno espanol con el falso fervor monàrquico que, segun todos los mexicanos emigrados en Europa, existìa en Mexico y que babia sido la causa fundamental del entusiasmo de los emperadores franceses; pero sabia también – y esto era lo importante – que en las ultimas instrucciones de O’Donnell [6] – recibidas por el mismo buque que trajo a Almonte a Veracruz – se le prevenìa formalmente sobre los manejos de Napoleón: «... Conviene que sepa V.E. que al parecer toma cada dia mas cuerpo el proyecto del establecimiento de una monarquìa en México. Algunos de los naturales de aquel paìs, residentes o establecidos en Europa, trabajan en este sentido; pero ni el gobierno del emperador ha hecho formai proposición al de S. M. acerca de este punto, ni cabe prescindir del principio fundamental de la politica espanda en América, de dejar a sus babitantes en piena libertad de establecer el gobierno mas conforme a sus necesidades y creencias...» [7].
I francesi, intanto, nel procedere verso Città del Messico furono sconfitti sonoramente a Puebla il 5 maggio 1862, ritardando di un anno l’avanzata. Alla vigilia dello scontro il generale francese Charles Ferdinand Latrille (1814-92) a capo di seimila uomini contro i quattromila messicani, aveva scritto al proprio governo:
Tenemos sobre los mexicanos tal superioridad de raza, organización, disciplina, moralidad y elevación de sentimientos, que os ruego digais al emperador que a partir de este momento y a la cabeza de seis mil soldados, soy el amo de México [8].
A quel punto Napoleone III ordinò l’incremento del corpo di spedizione a più di 23mila uomini e Puebla cadde il 17 maggio 1863. Visto che lo straniero avanzava nel Paese, il presidente Juárez lasciò la capitale il 31 maggio indietreggiando a nord, ed il 7 giugno 1863 Città del Messico cadeva nelle mani francesi, condotti dal mar. Francis Achille Bazaine (1811-88), seguito pochi giorni dopo dal conquistatore di Puebla, gen. Elie-Frédéric Forey (1804-72), entrambi accolti con giubilo dal clero. Forey vi emanò il proclama di formazione della Junta Superior de Governo (22 giugno) – un’assemblea di notabili – che decretò, tra le altre cose, l’adozione della forma di governo monarchica e l’offerta della corona imperiale a Massimiliano, e la nomina dei Reggenti: gen. José Mariano Salas (1797-1867), Juan Bautista de Ormaechea y Ernáiz (1812-84, Vescovo di Tulacingo; in sostituzione di Pelagio Antonio de Labastida y Dávalos, Vescovo di Puebla, 1816-91), gen. Juan Nepomuceno Almonte (1803-69). Quest’ultimo fu nominato da Massimiliano lugarteniente del Imperio.
Inviata a Vienna ed a Miramare, una commissione presieduta dall’amb. Gutiérrez de Estrada, ad offrire la corona del Messico al secondo figlio dell’Arciduca Francesco Carlo (1802-78), egli, dopo giustificate riserve politiche – e naturali prudenze – esortato dalla moglie Maria Carlotta Amelia (1840-1927), figlia di Leopoldo I del Belgio (1790-1831-65), il 10 aprile 1864 giurava solennemente al cospetto del presbitero Ignacio Montes de Oca y Obregón (1840-1921; dal 12 marzo 1871, Vescovo di Tamaulipas); al contempo firmò il Trattato di Miramare:
Artìculo 1. Las tropas francesas que se hallan actualmente en México seràn reducidas lo mas pronto posible a un cuerpo de 25,000 hombres, inclusa la legión extranjera.
Este cuerpo, para garantizar los intereses que han motivado la intervención, quedarà temporalmente en México en las condiciones arregladas por los articulos siguientes:
Artìculo 2. Las tropas francesas evacuaràn a México, a medida que S.M. el Emperador de México pueda organizar las tropas necesarias para reemplazarlas.
Artìculo 3. La legión extranjera al servicio de la Francia, compuesta de 8,000 hombres, permanecerà, sin embargo, todavia durante seis anos en México, después que las demàs fuerzas francesas hayan sido llamadas con arreglo al artìculo 2o. Desde este momento la expresada legión extranjera pasarà al servicio y a sueldo del gobierno mexicano. El go- bierno mexicano se reserva la facultad de abreviar la duración del empieo de la legión extranjera en México.
H M.J. Philippus-John F. Garcia, The heroes of el pueblo, ne “La Prensa de San Diego”, 3 maggio 2002. 9 Nel 1866 Almonte sarà mandato a Parigi per sollecitare l’ampliamento del corpo di spedizione francese: la trasferta gli salverà la vita.
Articulo 4. Los puntos del territorio que hayan de ocupar las tropas francesas, asi corno las expediciones militares de estas tropas, si tienen lugar, seràn determinados de comùn acuerdo y directamente, entre S.M. el Emperador de México y el Comandante en jefe del cuerpo francés.
Articulo 5. En todos los puntos cuya guarnición no se componga exclusivamente de tropas mexicanas, el mando militar sera devuelto al comandante francés. En caso de expediciones combinadas de tropas francesas y mexicanas, el mando superior de las fuerzas pertenecerà igualmente al comandante francés.
Arrìdilo 6. Los comandantes franceses no podràn intervenir en ramo alguno de la ad- ministración mexicana.
Arrìdilo 7. Mientras las necesidades del cuerpo de ejército francés requieran cada dos meses, un servicio de transportes entre Francia y el puerto de Veracruz, el costo de este servicio, fijado en la suma de 400,000 francos por viaje de ida y vuelta, sera a cargo del Gobierno mexicano y satisfecho en México.
Arrìdilo 8. Las estaciones navales que Francia mantiene en las Antillas y en el Ocèano Pacifico, enviaràn frecuentemente buques a mostrar el pabellón francés en los puertos de México.
Arrìdilo 9. Los gastos de la expedición francesa en México, que debe reembolsar el Gobierno mexicano, quedan fijados en la suma de 270 millones por todo el riempo de la duración de està expedición hasta lo. de julio de 1864. Està suma causarà interés a razón de un 3 por 100 anual.
Del lo de julio en adelante, los gastos del ejército mexicano quedan a cargo de México.
Arrìdilo 10. La indemnización que debe pagar a la Francia el Gobierno mexicano, por sueldo, alimento y manutención de las tropas del cuerpo de ejército, a contar del lo. de julio de 1864, queda fìjada en la suma de 1,000 francos anuales por plaza.
Arrìdilo 11. El Gobierno mexicano entregarà inmediatamente al Gobierno francés la suma de 66 millones en ritulos del empréstito, al predo de emisión, a saber: 54 millones en deducción de la deuda mencionada en el articulo 9o., y 12 millones en abono de las in- demnizaciones debidas a franceses, en virtud del articulo 14 de la presente convención.
Arrìdilo 12. Para el pago del exceso de los gastos de guerra y para el cumplimiento de los cargos mencionados en los articulos 7,10 y 14, el Gobierno mexicano se obliga a pagar anualmente a la Francia la suma de 25 millones en numerario. Està suma sera abonada: primero, a las sumas debidas en virtud de los expresados articulos 7 y 10; segundo, al monto en interés y capitai de la suma senalada en el articulo 9o.; tercero, a las indemniza- ciones que resulten debidas a subsidios franceses en virtud de los articulos 14 y siguientes.
Articulo 13. El Gobierno mexicano entregarà el ùltimo dia de cada mes en México, en manos del pagador generai del ejército, lo debido a cubrir los gastos de las tropas francesas que hayan quedado en México, con arreglo al articulo 10.
Articulo 14. El Gobierno mexicano se obliga a indemnizar a los subditos franceses, de los perjuicios que indebidamente hayan resentido y que morivaron la expedición.
Articulo 15. Una comisión mixta, compuesta de tres franceses y de tres mexicanos, nombrados por sus respecrivos Gobiernos, se reunirà en México dentro de tres meses, para examinar y arreglar esas reclamaciones.
Arrìdilo 16. Una comisión de revisión, compuesta de dos franceses y de dos mexicanos, designados del mismo modo, establecida en Paris, procederà a la liquidación definitiva de las reclamaciones admitidas ya por la comisión en el articulo precedente, y resolverà re- specto de aquellas cuya decisión le haya sido reservada.
Articulo 17. El Gobierno francés pondrà en libertad a todos los prisioneros de guerra mexicanos, luego que el Emperador entre en sus Estados.
Articulo 18. La presente Convención sera ratificada, y las ratificaciones seràn cambiadas lo mas pronto posible.
Hecho en el palacio de Miramar, el 10 de Abril de 1864.
—Firmado:—Herbet—Joaqufn Velàzquez de Leon.
Articulos adicionales secretos
Articulo 1. Habiendo aprobado S.M. el Emperador de México, los principios y las pro- mesas anunciadas en la proclama del generai Forey, de once de junio de 1863, y las medidas adoptadas por la Regencia y por el General en jefe francés, con arreglo a està declaración ha resuelto S.M. hacer saber sus intenciones sobre el particular en un Manifiesto a su pueblo.
Articulo 2. S.M. el Emperador de los franceses declara, por su parte, que la fuerza efec- tiva actual de treinta y ocho mil hombres del cuerpo francés, no la reducirà sino gradualmente y de ano en ano; de manera que el nùmero de las tropas francesas que quede en México, comprendiendo la legión extranjera, sea de
hombres en 1865.
hombres en 1866.
hombres en 1867.
Articulo 3. Cuando con arreglo a lo pactado en el articulo 3 de la Convención, pase la legión extranjera al servicio de México, y sea pagada por este paìs, corno continuarà sir- viendo a una causa que a Francia le interesa, el generai y los oficiales que formen parte de ella, conservaràn su calidad de franceses y su derecho a ascensos en el ejército francés, con arreglo a la ley.
Hecho en el palacio de Miramar, el 10 de Abril de 1864.
—Firmado:—Herbet.—Joaqufn Velàzquez de Leon10.
Al contempo Massimiliano rinunciava – attraverso un impegno scritto col fratello imperatore Francesco Giuseppe (1830-48-1916) – ad ogni diritto sulla corona austriaca. In seguito la battaglia di Sadovà (3 luglio 1866) che decise la guerra fra Austria e Prussia in favore della seconda, maldispose ulteriormente Francesco Giuseppe nei confronti del consanguineo:
Sadowa goes even further in his revelations concerning thè feeling of animosity cherished by Francis Joseph against his brother. The Austrian emperor is said to have forwarded to Baron von Lago, his ambassador at Mexico, ‘strict injunctions to prevent Maximilian from setting foot upon Austrian soil if he returned to Europe hearing thè ride of emperor’. The tragedy of 19thjune 1867 musthave brought relief to thè over-anxious Austrian monarch in one respect at least.
This feeling of unnatural suspicion, amountdng to morbid jealousy, had been displayed by thè Emperor Francis Joseph towards Maximilian while thè latter was fulfilling his duties as Viceroy of thè Italian Provinces [11].
Il 28 marzo la Novara salpava dal porto adriatico per portare i nuovi sovrani del Messico alla patria di adozione. Il 18 aprile, però, l’imbarcazione attraccò a Civitavecchia, e il giorno successivo la coppia imperiale fu ricevuta da Papa Pio IX (1792-1846-78). Ma già in mattinata, Pasquino aveva così parlato:
Massimiliano, non ti fidare, / Torna sollecito a Miramare. / Il trono fracido di Montezuma / E nappo gallico colmo di spuma. / Il timeo Danaos, chi non ricorda, / Sotto la clamide trova la corda [12].
Il 28 maggio la Novara giunse a Veracruz e l’indomani Massimiliano e Carlotta misero piede nella nuova patria. L’imperatore trovò al suo arrivo a Città del Messico (12 giugno) indifferente freddezza, ed un Paese in preda al caos delle fazioni. Il governo imperiale a Città del Messico, e l’esecutivo repubblicano del presidente Juárez a San Luis Potosf, bene in armi e deciso a resistere.
3. Le attività legislative dei due governi contrapposti
Già in piena guerra di liberazione il presidente Juárez adottò importanti misure: il 20 luglio 1863 firmò l’occupazione delle terre incolte e la delimitazione della proprietà fondaria, quale reazione all’insufficienza ‘agraria’ della Riforma; il 16 agosto 1863 dispose occupazione e confisca di tutti i beni dei traditori della patria; l’8 novembre 1865 prolungò il proprio mandato presidenziale e le facoltà straordinarie concesse dal Congresso per evitare la divisione nel campo repubblicano; decreto al quale si opposero il ministro liberale Guillermo Prieto (1818-97) ed il gen. Jesus González Ortega (1822-81), che esigevano in cambio la prima magistratura della Repubblica.
Nel mentre durante l’impero di Massimiliano non si parlò mai di espropriare i nuovi padroni dei beni nazionalizzati al clero. Una delle prime decisioni dell’imperatore fu di concedere la totale libertà di stampa, per cui anche gli oppositori ebbero la possibilità di esprimere le loro opinioni. In seguito il governo imperiale dispose che: i sacerdoti dovessero impartire i sacramenti senza essere remunerati; le rendite percepite dalla nazionalizzazione dei beni ecclesiastici fossero incamerate dal governo; si applicasse il controllo civile su matrimoni, nascite e decessi, così come sui cimiteri.
In altre parole si ratificarono le leggi della Riforma varate dai precedenti esecutivi liberali. Il tenore delle norme emesse dal governo imperiale non piacque ai conservatori e ancor meno alla Chiesa, i quali immediatamente fecero pressioni
sull’Asburgo affinché eliminasse ogni legislazione riformista. Massimiliano diventava ogni giorno più solo.
4. La fine del Secondo Impero
Il Bonaparte presto abbandonò i trattati di Miramare, impensierito: 1) dalla diplomazia prussiana in Europa; 2) dall’enorme spreco di forze e di denaro in Messico, senza compensazioni reali (l’esecutivo repubblicano mai si sarebbe accollato i debiti di Massimiliano verso Parigi), a parte un effimero prestigio; 3) dalla richiesta statunitense ai francesi di lasciare il Paese (12 febbraio 1866).
Il richiamo del solo schieramento che poteva contenere i repubblicani voleva dire per Massimiliano la rovina, non potendo bastare le unità dell’esercito imperiale più i volontari della Legione austro-belga. Massimiliano per una prima volta pensò di abdicare, ma furono le insistenze di Carlotta – già decisive ad accettare la corona – ad impedirglielo. Ella, anzi, si recò vanamente in Francia per convincere Napoleone III a rivedere le proprie decisioni. A Brest non più che un modesto funzionario di corte era a riceverla; ma l’incontro a Parigi, 11 agosto 1866, non dette i frutti sperati. Da li si portò a Miramare, e poi a Roma per ricevere consolazione dalle parole del Santo Padre e la sua benedizione.
Nel dicembre 1866 la Legione austro-belga tornò in Europa senza quasi combattere nelle azioni di Miahuadàn, La Carbonera e Oaxaca [13]. Il 12 marzo 1867 i francesi, dopo aver venduto il loro equipaggiamento ai repubblicani, lasciarono il Paese per mare da Veracruz. Massimiliano per la seconda volta manifestò la volontà di abdicare; ma gli si opposero coloro che temevano le rappresaglie del «rival government, promptly recognized by thè United States, was established in Veracruz by thè liberal leader Benito Pablo Juárez»[14] (gli Stati Uniti avevano riconosciuto l’esecutivo repubblicano il 7 aprile 1859). All’imperatore erano rimaste fedeli truppe esigue delle forze originarie, la guarnigione della capitale, ed alcuni ufficiali fra i quali, l’ex presidente della Repubblica ad interim, gen. Miguel Miramón[15] e gen. Tomás Mejfa (1820-67). Trascinato dagli eventi Massimiliano si mise alla testa di un esercito roso dalle gelosie dei capi, dagli stenti e dalle malattie per fronteggiare i 30mila soldati e gli ottanta cannoni del nemico.
Dopo due mesi di assedio, il col. Miguel Lopez tradiva, consegnando ai repubblicani il distaccamento della Cruz: Querétaro cadde all’alba del 15 maggio 1867; l’imperatore si ritirò al Cerro de las Campanas, e più tardi si arrese al gen. Ramón Corona Madrigal (1837-85). Corona condusse il prigioniero dal generale in capo Mariano Escobedo de la Peña (1826-1902); ed al primo l’imperatore aveva rimesso la spada, affermando: Los jefes que me acompanan no tienen otta responsabilidad que la que les impone el haber seguido mi suerte: deseo que no reciban dano alguno: si hay necesidad de una victima, yo quiero ser está, y que mi sangre sea la última que se derrame en este país.
Il presidente della repubblica, dal quartier generale di San Luis Potosi, dette ordine il 21 maggio – attraverso il ministero della Guerra – al gen. Escobedo di aprire il processo all’arciduca d’Austria e ai gen. Miramón e Mejla, in base alla legge 25 gennaio 1862 sui crimini contro lo Stato, che prevedeva le pena di morte nei confronti di chi collaborasse con gli stranieri. Per cui una commissione composta di un ufficiale superiore e sei capitani doveva procedere all’interrogatorio degl’imputati, sentire le difese e pronunciare la sentenza.
Difensori di Massimiliano erano gli abogados Mariano Riva Palacios (1803-80), Rafael Martinez de la Torre (1828-76), Jesus Maria Vázquez Palacios (1820-1904) ed Eulalio Maria Ortega; J. Ambrosio Moreno e Ignacio Jáuregui lo erano di Miramón e Próspero C. Vega di Mejia. Il luogo scelto per lo svolgimento del processo era il Gran Teatro Iturbide, dal nome del primo imperatore messicano anch’egli passato per le armi [17]. Il locale era rassettato, pulito e illuminato come per una première. Sul palcoscenico erano disposte a destra le poltrone e il tavolo per il Tribunale, a sinistra tre sedie per gli accusati e quelle per i difensori. La mattina del 13 giugno quando entrarono i giudici – in grande uniforme – scortati dalla guardia repubblicana, i palchi, la platea, le gallerie erano stipate di moltissima gente. Ma la curiosità del pubblico fu delusa, poiché Massimiliano, privo di forze, febbricitante e, soprattutto, indignato per lo spettacolo di cui lo si voleva protagonista, dichiarò al pubblico ministero che non sarebbe stato presente.
Alle ore 11:00 del 15 giugno il tribunale pronunciava la sentenza: condanna alla fucilazione per Ferdinando Massimiliano di Asburgo, e i generali Miramón e Mejfa. Ancora alle 11:00 del giorno seguente il gen. Vicente Riva Palacios (1832- 96), figlio del più valente dei quattro difensori di Massimiliano, intimava la sentenza all’imperatore, dichiarandogli che sarebbe stata eseguita alle 15:00 del giorno stesso. Fu quasi con un senso di sollievo che il condannato ne accolse l’annuncio; e con la sua proverbiale serenità si preparò spiritualmente. Alle 15:00 nessuno si presentò al convento de los Capucinos, improvvisato carcere. Alle 16:00 tornò il gen. Riva Palacios con un decreto presidenziale che rimandava l’esecuzione alle ore 7:00 antimeridiane del 19 giugno. Era il prolungamento dell’agonia. Accorsero al quartier generale di Juárez tutti i difensori, il barone Anton von Magnus, ministro residente di Prussia presso l’Impero messicano (e quindi non riconosciuto dalla Repubblica), i consorti principe gen. Felix zu Salm-Salm (1828-70), prussiano, e principessa Agnes (1844-1912). Costoro erano stati protagonisti di un tentativo di fuga del sovrano, fallito per la codardia dell’incaricato d’affari dell’Impero austro-ungarico, barone Eduard von Lago, il cui comportamento nauseò non solo i messicani, ma a tutt’oggi si rivela di un’indegnità ineguagliabile nella storia della diplomazia mondiale[18]. Von Magnus, dopo l’infruttuosa trasferta a San Luis Potosi, ritornò a Querétaro per stare accanto a Massimiliano con l’autorizzazione della Repubblica; telegrafò al ministro Lerdo de Tejada [19], la mattina del 18:
I implore you in the name of humanity and of Heaven, not to make any further attempt against his [the emperor’s] life, and I repeat now how certain I am that my sovereign, the King of Prussia, and all the monarchs of Europe who are related to the imprisoned prince, his brother the Emperor of Austria, his cousin the Queen of England, his brother-in-law the King of the Belgians, and his cousin thè Queen of Spain, as also the Kings of Italy and Sweden, will readily agree to give all possible guarantee that none of the prisoners shall ever return to Mexican territory [20].
Note
[1] NlCETO DE ZAMACOIS, Historia de Méjico desde sus tiempos remotos basta elgobiemo de D. Benito Juàrez Ramón de S.N. Araluce, Barcelona-Méjico, 1880, Voi. XVIII, p. 1371
[2] «Ne derivò una situazione del tutto opposta all’aspettativa dei legislatori. In luogo della piccola proprietà, si consolidò vieppiù il latifondo. Questa concentrazione ebbe modo di materializzarsi in quanto i beni rustici del clero vennero acquistati dai grandi proprietari o dai nuovi speculatori: essi soltanto, infatd, potevano disporre di abbondanti sostanze, atte a saldare il prezzo dello acquisto e a... procurarsi dalla gerarchia ecclesiastica l’assoluzione dalla scomunica. Contemporaneamente, sempre in virtù delle citate norme, la proprietà comunale indigena – che aveva resistito a secoli di abusi e di assalti – fu completamente disintegrata: anch’essa, naturalmente, andò ad impinguare la ricchezza dei latifondisti. Corollario: il potenziamento della borghesia auspicato dai liberali non maturò; al contrario, si espanse il feudalesimo, che allacciò con i nuovi ricchi (molti dei quali meticci) vincoli interessati di classe», in FRANCESCO RlCClU, La rivoluzione messicana, dall’Oglio, Milano, 1968, p. 23.
[3] I saggi scientìfici dell’Arciduca dedicati all’America meridionale sono in: MAXIMII.IAN I, EM- PF.ROR OF MKXICO, Recollections of my life, Richard Bentley, London, 1868, Voi. Ili, pp. 1-408.
[4] Per il testo in francese della Convenzione, cfr. G[USTAVE-LÉON]. NIOX, Expédilion du Mexique 1861-1867. Kécit polilique & militane, Librairie Militaire dej. Dumaine, Paris, 1874, pp. 729-730.
[5] Per il testo in spagnolo de Los Preliminares, cfr. J[OSKP].M[ARIA]. MlQUEL l VERGÉS, El General Prim, en F,spanaj en México, Hermes, México, 1949, pp. 232-233.
[6]Mar. Leopoldo O’Donnell yjorris (1809-67), Grande di Spagna, di origine irlandese. Presidente del Consiglio dei Ministri spagnolo: 1856-1856,1858-63,1865-66.
[7]MIQUEI. I VKRGKS, cit., pp. 236-237.
[8] M.J. PHILIPPUS-JOHN F. GARCIA, The heroes of elpueblo, ne “La Prensa de San Diego”, 3 maggio 2002.
[9][9] Nel 1866 Almonte sarà mandato a Parigi per sollecitare l’ampliamento del corpo di spedizione francese: la trasferta gli salverà la vita.
[10] Ernesto Lemoine, Horacio Labastida Munoz, Oscar Castaneda Batres (a c. di), Do- cumentospara la Historìa del México independiente 1808-1938, Miguel Angel Porrua, México, 2010, Voi. II: MUN’OZ, Reforma j Repùblica restaurada (1823-1877), pp. 595-597.
[11] PERCY F. MARTIN, Maximilian in Mexico. The Story of thè French Intervention (1861-1867), Con- stable and Company Ltd, London, 1914, pp. 25-26.
[12] FERDINAND GREGOROVTUS, Passeggiate per l’Italia, Versione dal tedesco di Mario Corsi, Ulisse Carboni libraio Editore, Roma, 1907, Voi. Ili, p. 107.
[13] MARTIN, dt, p. 271.
[14] The American Peoples Encyclopedia, Grolier Incorporated, New York, Voi. 12, Mexico, p. 377.
[15] Miguel Gregorio de la Luz Atenógenes Miramón y Tarelo (n. 29 settembre 1832), generale a 23 anni, due volte presidente della Repubblica ad interim – per il conservatore Pian de Tacubaya – dal 2 febbraio 1859 al 13 agosto 1860 e dal 15 agosto al 24 dicembre 1860. Il più giovane presidente nella storia del Messico: a 26 anni, quattro mesi e quattro giorni.
[16] SALTA
[17] Agustm Cosme Damiàn de Iturbide y Aràmburu (n. 27 settembre 1783). Presidente della Reggenza: 28 settembre 1821-18 maggio 1822; imperatore: 19 maggio 1822-19 marzo 1823. In esilio a Livorno dal 2 agosto 1823 e a I-ondra dal 1° gennaio [1824]. Il 3 aprile il Congresso messicano, con 60 favorevoli e 2 contrari, lo dichiarò traditore. Il 14 luglio tornò in patria dove fu fucilato quattro giorni dopo.
[18] MARTIN, dt, pp. 10,169,180,271,318, 368,371-372, 376-377,381, 396.
[19] Sebastiàn Lerdo de Tejada y Corrai (1823-89), ministro della Giustizia (1863), Affari Esteri (1863-70); presidente della Corte Suprema (1871-72); e presidente della Repubblica (1872-76).
[20] MARTIN, cit., p. 397.