La Stampa, 19 agosto 2015
Pablo Escobar, ancora tu? A più di vent’anni dalla sua morte il narcotrafficante è di nuovo al centro della scena e questa volta grazie al potere delle serie televisive. Dopo il successo della colombiana Rede Caracol è la volta di Netflix, che presenta domani a Rio de Janeiro, «Narcos», dieci capitoli di un’ora ciascuna firmati dal regista Jose Padilha (Truppa d’Elite) e con protagonista Wagner Moura Film, serie tv e glamour il fantasma di Escobar spopola in Sudamerica Il figlio Sebastian: “Non trasformatelo in un eroe”
A più di vent’anni dalla sua morte Pablo Escobar è di nuovo al centro della scena e questa volta grazie al potere delle serie televisive. Dopo il successo della serie tv della colombiana Rede Caracol è la volta di Netflix, che presenta domani a Rio de Janeiro, «Narcos», dieci capitoli di un’ora ciascuna firmati dal regista Jose Padilha (Truppa d’Elite) e con protagonista il brillante Wagner Moura.
La serie, che sarà disponibile a fine mese sulla piattaforma digitale, racconta le vicende del celebre boss inseguito da due agenti della Dea, interpretati da Pedro Pascal e Boyd Holbrook. La vita di Pablo Escobar, da piccolo delinquente nella violenta Medellin dei primi Anni Ottanta a boss indiscusso della droga e nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti è sicuramente degna di un romanzo. Potente e populista, violento con i nemici e generoso con chi lo appoggiava. La scia di attentati da lui commissionati fu impressionante, ma il suo potere si basava anche su un grande seguito popolare nella sua terra, dove faceva costruire case popolari per i poveri, sponsorizzava la squadra di calcio, prometteva benessere e progresso a colpi di migliaia di tonnellate di cocaina trafficate in tutto il mondo. A Buenos Aires vive oggi suo figlio Juan Pablo. Dopo la morte del padre ha deciso per motivi di sicurezza di cambiare nome in Sebastian Marroqui, ma non ha mai rinnegato le sue origini e ha appena pubblicato un libro «Pablo Escobar, mio padre» nel quale racconta la sua storia.
Infastidito per il successo mediatico delle serie tv, ammette che convivono in lui due sentimenti, l’affetto per un padre che non gli ha fatto mai mancare nulla e il ripudio per i crimini commessi. «Mio padre – racconta – è un personaggio che vende. Credo però che si esalti fin troppo la sua vita: diventa un eroe popolare e questo non va bene, perché si perde di vista la violenza, le stragi, i morti innocenti». Quattro anni fa Sebastian è stato protagonista di un documentario chiamato «I peccati di mio padre» grazie al quale ha potuto incontrare i figli di Luiz Carlos Galan e Rodrigo Lara Bonilla, candidato presidenziale e ministro della giustizia fatti uccidere da Escobar. «Abbiamo parlato del futuro del nostro paese. I peccati dei padri non devono ricadere sui figli, è nostra responsabilità dialogare per superare l’odio, la diffidenza, il rancore».
La serie della Tv Caracol «Pablo Escobar el patron del Mal» ha battuto i record d’ascolto in patria ed è stata esportata in diversi paesi; Escobar è ritratto come un boss a volte troppo bonaccione, spietato con i nemici e generoso con i suoi alleati. «Narcos» ha tutti i numeri per essere il successo autunnale di Netflix. «Io spero solo – spiega Sebastian – che si faccia più attenzione alla verità storica. Che si racconti, ad esempio, delle complicità istituzionali con mio padre. Il narcotraffico esiste perché finanzia campagne elettorali, è un serbatoio di denaro per la politica e i giudici corrotti». Sebastian alterna il suo lavoro di architetto a quello di conferenziere; è chiamato a raccontare la sua storia in forum sulla droga. Il Sudamerica oscilla fra paesi che puntano alla liberalizzazione come l’Uruguay e nazioni ostaggio dei narcos, come il Messico. «L’antiproibizionismo può essere un cammino, ma se non si colpisce il cuore del problema non si riuscirà mai a sconfiggere le grandi organizzazioni. Morto Escobar, sono apparsi nuovi padroni della droga, fino a quando ci sarà la domanda e la corruzione, il narcotraffico continuerà ad esistere».