Il Sole 24 Ore, 19 agosto 2015
Un nuovo crollo della Borsa di Shanghai, che ieri ha perso il 6% dopo che la Banca centrale cinese ha stanziato una mega immissione di liquidità sul mercato monetario per arginare il deflusso di fondi dopo la svalutazione dello yuan. In forte difficoltà le valute asiatiche
Dalle parti di Shanghai i sonni continuano ad essere agitati. Ieri i listini azionari hanno accusato una nuova violenta caduta. La Borsa ha perso il 6,1%, archiviando la seduta peggiore dal 27 luglio e interrompendo una striscia positiva che durava da tre giorni. L’indice Csi 300, che raggruppa le principali società quotate a Shanghai e Shenzen, ha lasciato sul terreno il 6,2%.
Le vendite si sono intensificate nella seconda metà della seduta dopo che la Banca centrale cinese ha stanziato una mega-immissione di liquidità sul mercato monetario: nelle operazioni di routine sul mercato aperto, la PBoC (People’s Bank of China) ha deciso l’acquisto di pronti contro termine (reverse repo) a sette giorni per 120 miliardi di yuan, pari a 16,9 miliardi di euro. Si tratta dell’ammontare più elevato mai immesso su base giornaliera con questo tipo di operazione da circa 19 mesi, e precisamente dai 150 miliardi di yuan immessi il 28 gennaio 2014. La decisione segnala la crescente preoccupazione di Pechino di fronte al deflusso di fondi dai mercati cinesi dopo la svalutazione del renminbi (yuan) decisa in tre tappe la settimana scorsa. Secondo Minsheng Securities, tra luglio ed agosto 800 miliardi di yuan, pari a 125 miliardi di dollari, hanno abbandonato Pechino. La mossa della Banca centrale, anziché limitare le vendite, ha incrementato le tensioni sull’azionario innescando timori di una riduzione della liquidità sul mercato, legata alla fuoriuscita di capitali dal Paese (così come dai Paesi emergenti vicini) verso lidi occidentali (fra cui gli Usa che con un imminente rialzo dei tassi diventerebbero sempre più “attraenti”). Secondo alcuni analisti a questo punto la PBoC sarà costretta a diventare sempre più attiva per contrastare il rallentamento economico e l’uso di riserve valutarie per frenare la svalutazione dello yuan, quindi non è da escludere a breve un taglio delle riserve obbligatorie bancarie.
Inoltre, secondo un operatore interpellato da Reuters il calo degli indici azionari cinesi sarebbe stato innescato anche da un’analisi finanziaria, pubblicata nella serata di lunedì – e ampiamente circolata ieri sulla piattaforma di messaggistica WeChat – in cui si afferma che le programmate riforme del settore delle aziende di Stato non porteranno benefici alle azioni delle società in questione. Nella prima parte della seduta, inoltre, ad alimentare la pressione sull’azionario cinese era stato l’indebolimento dello yuan sul dollaro, elemento che ha ridato spazio ai timori che Pechino sia intenzionata ad operare una svalutazione più consistente della propria valuta, nonostante le dichiarazioni della PBoC, per la quale non c’é ragione al momento per un’ulteriore discesa dello yuan. Quest’ultimo ha poi terminato la seduta in rialzo. Ma questo non ha impedito nuove vendite sulle divise emergenti il cui bilancio nelle ultime tre settimane è in profondo rosso. Il ringgit malese ha perso il 7%, la rupia indonesiana e quella indiana il 2,6%, il bhat thailandese il 2,1%. Il calo del petrolio (-20% in un mese) sta poi affossando il rublo che ieri ha eguagliato il minimo del 13 febbraio sull’euro, oltre quota 73.
Insomma, di motivi di preoccupazione per la tenuta nelle prossime sedute dei listini cinesi e delle valute dell’area Asia-Pacifico, a quanto pare, non mancano. Ma l’altra notizia di ieri è che i mercati occidentali (tanto quelli europei quanto quelli Usa) hanno reagito con relativa indifferenza. Sui titoli di Stato ci sono state un po’ di prese di profitto, ma nessun terremoto: il rendimento dei BTp a 10 anni è salito di quattro punti base all’1,8% con spread a 116 sul Bund. I listini azionari europei hanno terminato la seduta pressoché invariati (Ftse Mib a -0,08% e Dax 30 a -0,22%). Poco mossa anche Wall Street nonostante la brutta trimestrale di Wal-Mart. I mercati occidentali restano congelati in attesa di conoscere oggi i verbali della riunione della Federal Reserve di fine luglio da cui si cercherà di intercettare con più precisione se nella prossima riunione di settembre (16-17) prevarranno i “falchi” (favorevoli a un rialzo dei tassi negli Usa già a settembre) sulle più accomodanti “colombe”. I verbali però non potranno fare menzione delle tre svalutazioni dello yuan attuate dalla PBoC ad agosto e pertanto potrebbero fornire una impressione parziale sulle mosse attese dalla Fed. Molto più importante potrebbe essere il nuovo dato sui prezzi al consumo (inflazione) negli Usa che sarà diffuso nel pomeriggio di oggi.
Nell’attesa, il dollaro si è rafforzato sulle principali divise, conquistando una mezza figura sull’euro (scivolato a 1,103) dopo dati macro positivi. Le costruzioni di case nuove negli Stati Uniti a luglio sono salite dello 0,2%, il livello più alto dal 2007. Il dato si va ad aggiungere al balzo della fiducia dei costruttori edili, salita ai massimi da dieci anni. Numeri che rendono sempre più complicato per gli Usa rinviare ulteriormente i tempi della stretta monetaria. Cina e (prezzi calanti del petrolio) permettendo.