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 2015  agosto 18 Martedì calendario

Addio a Donato Bruno, il beniamino dei «peones», a destra come a sinistra. Berlusconiano, sapeva ascoltare gli altri, ne diventava a volte il confessore privato. Lo incontravi in Transatlantico e si mostrava sempre disponibile, mai uno sguardo all’orologio. Raramente si sbilanciava in giudizi tranchant con quel suo vocione baritonale. Ritratto di un vero signore, che si è meritato un cordoglio bipartisan

Se tutti i parlamentari che ieri ne hanno ricordato le doti – quelle di uomo politico serio, competente e onesto – gli avessero dato il voto, un anno fa, all’elezione per la Consulta, Donato Bruno ci avrebbe lasciato con un riconoscimento in più e un dispiacere in meno. Invece le cose andarono diversamente. Nel segreto dell’urna spuntarono i franchi tiratori, molti dei quali proprio nelle file berlusconiane dove Bruno militava dal 1996, anno in cui fu eletto per la prima volta alla Camera. Il Cavaliere lo conosceva da tempo, per ragioni che con la politica non c’entravano nulla. Fu l’immobiliarista Renato Della Valle a farli incontrare, e a quel tempo lo studio legale di Bruno in via Veneto a Roma era già fulcro di transazioni e affari che procedevano a gonfie vele. Patrocinava in Cassazione, ma nelle cause civili si esercitava molto di rado. La sua qualità professionale era in fondo la stessa che gli permise poi di farsi largo dentro Forza Italia: sapeva ascoltare gli altri, ne diventava a volte il confessore privato. Lo incontravi in Transatlantico e si mostrava sempre disponibile, mai uno sguardo all’orologio. Raramente si sbilanciava in giudizi «tranchant» con quel suo vocione baritonale. Non si ricordano polemiche sopra le righe, attacchi gratuiti agli avversari, sebbene politicamente fosse senza dubbio un «falco». Di politici così alla mano ne circolano pochi, più facile imbattersi in personaggi tronfi e narcisi. Per cui già questo tratto umano, unito a uno sguardo intelligente, a volte ammiccante, era sufficiente a fare di Bruno il beniamino dei «peones», a destra come a sinistra. Dove risultava simpatico nonostante le amicizie molto lontane dal politicamente corretto, prima tra tutte quella con «Cesarone» Previti. Bruno non gli aveva mai negato la solidarietà, tantomeno dopo le condanne, e anzi lo aveva difeso davanti al Parlamento. È stato a lungo presidente della Commissione Affari costituzionali, eletto nel 2001 e di nuovo nel 2008: incarico esercitato con flemma anglosassone (sebbene fosse nato non a Londra ma in Puglia sulle Murge baresi, a Noci per l’esattezza, 66 anni fa) mentre intorno a lui tutti si scannavano.
Un vero signore, insomma. Non stupisce che ieri, alla notizia della morte avvenuta per ischemia cerebrale, il cordoglio sia stato assolutamente bipartisan. Il Presidente Mattarella ha voluto ricordare di Donato Bruno (che aveva conosciuto in Parlamento) «la competenza e l’equilibrio». Parole di stima sono giunte dalla presidente della Camera Boldrini. La sua morte impoverisce il Paese, ha fatto sapere in un messaggio Berlusconi. Da Calderoli al ministro Franceschini, da Sacconi a Bonaiuti, in tanti hanno pianto con sincerità la perdita di un amico. Ma «il Parlamento gli negò l’elezione alla Consulta», ha ricordato il conterraneo Falanga. Aggiungendo implacabile: «Che amarezza!».