la Repubblica, 18 agosto 2015
Le escape room, l’ultima moda dei giochi di gruppo che si sta diffondendo nel giro di pochissimo in tutta Italia. Funziona così: Sessanta minuti di tempo per scappare da una stanza blindata senza finestre, l’ambientazione cambia ogni volta, la sfida no: solo risolvendo un enigma dopo l’altro si arriverà ai codici per sbloccarli e alle chiavi che aprono l’unica via di fuga
Sessanta minuti di tempo per scappare da una stanza blindata senza finestre. Una prigione sotterranea con le sbarre agli ingressi. Uno scantinato pieno di ragnatele e vecchi mobili ammassati uno sull’altro. Un salotto inglese con le pareti ricoperte da quadri e librerie, fra bambole di pezza, giradischi, vasi di porcellana, oggetti misteriosi sugli scaffali. E decine di armadi e bauli chiusi da lucchetti. L’ambientazione cambia ogni volta, la sfida no: solo risolvendo un enigma dopo l’altro si arriverà ai codici per sbloccarli e alle chiavi che aprono l’unica via di fuga. Si chiamano escape room e sono l’ultima moda dei giochi di gruppo che si sta diffondendo nel giro di pochissimo in tutta Italia. Le prime sono nate in Giappone e negli Stati Uniti. Poi si sono diffuse in Spagna, in Grecia e Ungheria. E negli ultimi mesi sono sbarcate quasi in contemporanea a Torino e a Firenze, a Milano e Roma, subito dopo a Genova e a Rimini, la maggior parte aperte da universitari e neolaureati, diventando un cult dell’estate fra i giovanissimi e non solo.
Si gioca in squadra: minimo in due ma non più di sei o si rischia di far confusione. E il lavoro di squadra è la vera carta vincente ( anche il costo varia a seconda delle dimensioni del gruppo: in media, dai 12 euro a persona a un massimo di 28). Il conto alla rovescia scatta nel momento in cui la porta si chiude alle proprie spalle. In un’ora bisogna completare serie numeriche, fare calcoli matematici, si devono scoprire frequenze radio ma in alcuni casi è necessario rispondere a quesiti di storia o di geografia. Gli indizi per risolvere gli indovinelli sono lì, fin dall’inizio. Ma non si vedono. Nascosti dietro ai quadri, in mezzo ai libri, chiusi nei cassetti ma visibili solo grazie a un gioco di specchi. Telecamere e microfoni piazzati all’interno della stanza permettono di controllare dall’esterno l’evoluzione del gioco. E nei momenti di maggiore difficoltà sui monitor arriva qualche piccolo suggerimento in soccorso. «Solo il 70 per cento delle squadre riesce ad arrivare alla fine e a far illuminare la scritta Exit»,spiega Giulio Galbusera, 24 anni, uno dei soci che ha fondato “The-X-door” a Milano. Ma il grado di difficoltà non è uguale per tutte le escape room. Nelle “Adventure rooms” di Catania si inizia il gioco con le manette ai polsi. E prima ancora di capire come sbloccare la porta d’ingresso bisogna trovare il modo di liberarsi. Nella torinese “Intrappola”, una delle primissime inaugurate, solo il 2 per cento dei giocatori riesce a uscirne. «Ma nessuno è stato ancora in grado di farlo senza aiuti – racconta uno dei suoi creatori, Daniele Massano – La difficoltà però deve rimanere altissima. Altrimenti che sfida è?».