Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2010
Ritratto di Nadar
Bisogna andare oltre il bianco e nero dell’epoca e immergersi in una nuvola rossa. Rossa l’intelaiatura di una facciata sul Boulevard des Capucines, a Parigi, rosso il salotto che accoglie amici e clienti ed è quasi una reggia. Rossa la vestaglia di velluto che avvolge come una bandiera o una toga il corpo immenso di Felix Nadar, e rossi i suoi capelli, sempre arruffati, segno di chi non dà tregua alle idee, ma le incalza, le provoca e per la felicità di un’epoca di sognatori le realizza. Per onore di cronaca, all’elenco monocromatico di arredi, abiti e tratti somatici, andrebbe aggiunto anche il rosso del profilo che incornicia ogni fotografia, e poi il rosso della firma che ha scritto, con quelle cinque lettere in ascesa, puntate alla fama, una delle pagine più straordinarie della storia della fotografia. Dove fotografia vuol dire società, cultura, incontro, fratellanza, dalle barricate alle redazioni dei giornali, dalla miseria della strada alla cucina di una bella dimora, sempre aperta, accogliente, in festa. Ricordare Felix Nadar a un secolo dalla sua morte, che lo sorprese il 21 marzo 1910 a novant’anni, vuol dire fare un passo indietro, e prima di raccontare il fotografo, il padre della ritrattistica moderna, il genio che ha dato un volto alle menti più brillanti dell’Ottocento, è necessario raccontare l’uomo. Nessuno più di Nadar ha spiegato, con la sua vita e la sua opera, una legge semplice quanto fondamentale: un fotografo fotografa per l’uomo che è. Uno scrittore può nascondersi, mentire, esagerare. Un fotografo, no. Fisicamente presente ai fatti, la storia delle sue immagini inizia dalla sua. E quella di Nadar è la storia di un gigante. Una storia d’autore.
Gaspard-Felix Tournachon nasce il 6 aprile 1820, a Parigi. Studia medicina, l’abbandona e a diciotto anni è giornalista. Con gli amici si diverte ad aggiungere la desinenza «dar» a nomi e cognomi. Diventa Tournadar, per far prima Nadar e sarà questo il suo nom de plume. Nessuno ha soldi, ma la povertà diventa «Bohème» e Henri Murger, autore del romanzo che battezza un’epoca, è tra gli intimi di Felix, insieme a Théodore de Banville, Champfleury, Gérard de Nerval – e Nadar lo ritrarrà poche settimane prima del suicidio, nel 1855 – e Baudelaire. Un’amicizia profonda, la loro. Sono coetanei. Un vero sodalizio, anche economico e più di una volta Charles chiederà all’amico di aiutarlo “rotondamente”, con generosità. Insieme girano per Parigi, vanno al teatro di Porte-Saint-Antoine, dove recita Jeanne Duval, bellissima Venere Nera, adorata da Baudelaire; e sempre in coppia, poeta e cronista collaborano al giornale satirico «Le Corsaire-Satan», e in redazione ritrovano altri esponenti della Bohème. Il direttore li chiama «i piccoli cretini». Ma è su questa testata che Nadar disegna le sue prime caricature, cui seguiranno quelle per «La Revue Comique» e nel 1849 quelle per il «Journal pour rire». Ridendo, cambia tutto. Ridendo, l’anima è a nudo, ottima base per un ritratto. Ridendo, nasce nel 1854 il Panthéon Nadar, omaggio satirico a quasi trecento personaggi della cultura francese, destinati alla posterità e riuniti in un lungo corteo che si conclude, tra le figure in primo piano di Vigny, Hugo, Balzac, Lamartine e Musset, davanti al busto di George Sand, e galanteria vuole che soltanto lei sfugga ai morsi della parodia. Modestamente, Nadar si inserisce nel gruppo. E fa bene.
Per affrontare quel lavoro immane (i 584 disegni preparatori sono oggi alla Bibliothèque Nationale di Parigi), Nadar si serve di molte fotografie. Alcune le scatta lui e la novità gli piace al punto da aprire un suo studio, che diviene casa, al 113 di Rue Saint-Lazare. Pochi anni e signore e signori della ricca borghesia parigina, dai Rothschild ai Pereire, ordineranno ai cocchieri di portarli in «Rue Saint-Nadar» per ricevere da quell’uomo di professata
Celebrità. Felix Nadar (qui accanto, 1854) immortalò con suo obiettivo tutti i grandi del suo tempo: in alto da sinistra, Charles Baudelaire (1855), Sarah Bernhard (1866), Eugene Delacroix. In basso, Jules Verne
fede repubblicana e socialista, rosso anche negli ideali, la benedizione di un suo sguardo. Nel salotto di Nadar – che ha appena sposato Ernestine Lefèvre, lui 34 anni, lei 18, e il ritratto che il marito le dedica, di una disarmante naturalezza psicologica, era tra i più amati da Richard Avedon, che ne possedeva una copia – l’atmosfera è informale, scanzonata, ancora bohémienne. A qualunque ora del giorno arrivano i vecchi amici e allora, perché non scattare una foto. La luce filtra laterale da una grande finestra, pochi oggetti in scena, un fondale neutro, vissuto. Ognuno sceglie la sua posa, confidenza, l’immagine è il proseguo di un lungo discorso. Bakunin guarda in macchina, le labbra appena socchiuse, e così Champfleury, ma gli scappa da ridere. George Sand, Dorè, Gautier, Corot, Courbet e Delacroix, invece, guardano di profilo, e quest’ultimo chiederà a Nadar di distruggere la sua lastra e giustamente il fotografo gli dirà di no. Poi in studio, e nel successivo più grande in Boulevard des Capucines, sulla cui facciata campeggiava l’enorme firma di Nadar, realizzata da Antoine Lumiere, padre dei famosi fratelli, giungono Daumier, Dumas, Kropotkin, Millet, Offenbach, Verdi, Rossini e Sarah Bernhardt. Quindi è la volta di Manet e il fotografo nel 1874 gli affitterà i suoi saloni e sarà quella la prima mostra degli Impressionisti.
Il ritmo è frenetico, i destini si incrociano. Nadar ritrae Victor Hugo e ha l’onore di partecipare al banchetto che saluta l’uscita dei
Misérables. Quindi tocca a Jules Verne e ai suoi occhi d’oceano, e lo scrittore, impressionato dalle ricerche che il fotografo conduce sulla fotografia aerea, gli dedica il protagonista del romanzo De la Terre à la Lune,
Michel Ardan, anagramma di Nadar. Per ricambiare la cortesia, e introdurre il romanziere al buio di un altro mondo, quello delle catacombe dove sta sperimentando le prime riprese a luce artificiale, Nadar offrirà a Verne i racconti di Edgar Allan Poe, tradotti da Baudelaire.
È il 1861 e all’amico Charles, Felix ha già dedicato quattro strepitosi ritratti. Due anni prima il poeta aveva lanciato la sua famosa invettiva contro la fotografia, definendola «rifugio di tutti i pittori mancati». Nadar, senza scomporsi, rincara la dose: «La fotografia è una scoperta meravigliosa, la cui applicazione è alla portata degli ultimi imbecilli, giacché ha dato convegno a tutti i falliti di tutte le carriere». Tranne lui. «Ciò che non s’impara – aggiunge il maestro – è il senso della luce, è l’intelligenza morale del tuo soggetto, è quella intuizione che ti mette in comunicazione col modello, te lo fa giudicare, ti guida verso le sue abitudini, le sue idee, il suo carattere, per ottenere una somiglianza intima. il lato psicologico della fotografia, la parola non mi sembra troppo ambiziosa». Un dono, l’intimità dello sguardo, riservato a pochi. Lo sapeva bene il figlio di Nadar, Paul, anche lui fotografo, meno dotato come tutti i figli d’arte, e per questo alla ricerca di strade nuove, tanto da prendere nel 1891 la rappresentanza a Parigi della Eastman Kodak. Apparecchi semplici, leggeri, a buon mercato. Al padre, rosso di invidia, scrive: «Oggi le fotografie è più divertente farle per conto proprio, il risultato sarà un po’ meno buono, è vero, ma in compenso non ti costa niente». Giusto, al posto di Baudelaire ci sono le feste di compleanno.