Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2015
Il grande ritorno dell’Iran nel mercato del petrolio, tra qualche luce e molte ombre. Ricco di gas e petrolio, il Paese ha bisogno di tecnologia e investimenti. Le formule contrattuali offerte nel passato da Teheran alle compagnie petrolifere non si sono mai dimostrate attraenti, la burocrazia “bizantina” del Paese è capace di rallentare qualsiasi progetto di sviluppo e renderlo estremamente oneroso, anche a fronte di accordi già sottoscritti dalla parti
La piena reintegrazione dell’Iran nel mercato internazionale del petrolio avrà qualche luce e molte ombre.
Per tutti i Paesi produttori, Teheran si appresta a tornare nel momento peggiore. La produzione mondiale di greggio non accenna a fermarsi: al contrario, continuerà a crescere – come ho sottolineato più volte su questo giornale. A spingerla è l’inerzia dei colossali investimenti varati negli anni passati dall’industria petrolifera mondiale, molti dei quali devono ancora essere completati per cominciare a produrre i primi barili di greggio. Le società del petrolio si sono ben guardate da tagliare questi investimenti, mentre sono state abbastanza prodighe nel tagliare tutto quello che potevano (raffinazione, petrolchimica, gas, e progetti annunciati ma non ancora avviati). Così, inesorabilmente, nuova capacità produttiva di petrolio arriverà sul mercato almeno fino al 2017.
A peggiorare le cose, tra i principali produttori mondiali di greggio solo il Canada sembra pagare dazio ai prezzi in caduta. Stati Uniti e Russia, nonostante i problemi, continuano a mantenere i propri livelli produttivi, l’Iraq continua crescere. Soprattutto, l’Arabia Saudita sta spingendo l’acceleratore sulla sua produzione riducendo la capacità non utilizzata che il Regno ha sempre mantenuto (almeno 2,5 milioni di barili al giorno) come valvola di sicurezza del mercato mondiale. Una strategia apparentemente suicida per i prezzi dell’oro nero, ma ben comprensibile se si considera che Riad punta a far fuori – nel medio termine – le produzioni globali a più alto costo e a guadagnare nuove fette di mercato, rendendo più difficile la vita proprio a paesi come l’Iran o l’Iraq che, dopo molti anni, stanno rialzando la testa.
A Teheran non sembrano preoccuparsi più di tanto. Certo, l’Iran avrebbe bisogno di un prezzo del gregg io molto superiore ai 100 dollari a barile per poter garantire tutte le spese dello stato. Ma di fronte alla prospettiva di tornare a pieno titolo sui mercati internazionali, la questione diventa di second’ordine e il paese non rinuncia a voler sfruttare appieno tutto il suo potenziale. Che è enorme.
Oggi i giacimenti iraniani producono poco più di 3 milioni di barili al giorno (mbg) di petrolio; in sei mesi possono spingersi a 3,6 mbg, per poi superare i 4 mbg entro un anno fino a raggiungere i 5,5 mbg in cinque anni – cioè quasi il doppio della produzione attuale.
Come in Iraq, la maggior parte di quei giacimenti non ha mai visto l’applicazione di tecnologie avanzate in grado di innalzare il tasso di recupero di greggio (oggi inferiore al 20% a fronte di una media mondiale del 35%, anche se gli iraniani sostengono di essere arrivati al 25%). Questo significa che, anche senza la scoperta di nuovi giacimenti, l’Iran potrebbe produrre molto di più se solo potesse attingere alle migliori competenze e tecnologie disponibili sul mercato internazionale. Nondimeno, negli ultimi quindici anni l’Iran ha anche scoperto nuovi giacimenti che ancora attendono di entrare in produzione.
E questo senza considerare il gas naturale, di cui l’Iran è ricchissimo. La sua produzione attuale di metano supera i 200 miliardi di metri cubi (molto più del doppio del consumo italiano), ma potrebbe crescere esponenzialmente se solo Teheran potesse contare su investimenti stranieri, tecnologie avanzate e adeguate infrastrutture di esportazione – oggi sostanzialmente inesistenti.
Certo, gli ostacoli da superare per ottenere tutto questo vanno ben oltre le sanzioni.
Gli investimenti per rilanciare l’intero settore degli idrocarburi ammontano almeno a 200 miliardi di dollari, le formule contrattuali offerte nel passato da Teheran alle compagnie petrolifere non si sono mai dimostrate attraenti, la burocrazia “bizantina” del Paese è capace di rallentare qualsiasi progetto di sviluppo e renderlo estremamente oneroso, anche a fronte di accordi già sottoscritti dalla parti.
Di questi e altri problemi sembrano consapevoli gli uomini che muovono le fila del petrolio e del gas iraniani, a partire dall’attuale ministro del petrolio, Bijian Namdar Zanganeh, un veterano del settore che ha predisposto una nuova formula contrattuale – non ancora rivelata – per attrarre i capitali dell’industria petrolifera mondiale, disperatamente alla ricerca di riserve di greggio che molti Paesi le negano. Per questo da mesi le società europee e asiatiche hanno avviato un’attività febbrile nel paese per essere pronte a rientrarvi non appena fossero cadute le sanzioni internazionali (quelle statunitensi continueranno a avere problemi, poiché parte delle sanzioni statunitensi rimarranno in vigore – anche se il presidente Obama potrebbe concedere un’esenzione speciale).
È del tutto improbabile, tuttavia, che alle società straniere sia consentito di poter mettere a libro parte delle riserve di greggio sviluppate in futuro nel paese – che conservatori e riformisti vogliono mantenere sotto rigida proprietà dello stato. Molto migliori le opportunità economiche di altre industrie (meccanica, chimica, etc.) che potranno tornare nel paese, magari proprio al traino di grandi imprese petrolifere. E le ombre per queste ultime non si fermano qui.
Passata la stagione estiva, quella in cui tradizionalmente i consumi di greggio nel mondo raggiungono il loro picco, la domanda di petrolio è destinata a calare – cosa che non avverrà per la produzione.
L’industria del petrolio è abituata a vivere pericolosamente, e dovrà adattarsi ancora una volta a farlo, cercando di cogliere il massimo possibile dalle luci proiettate dalla riapertura dell’Iran e a evitare il peggio, cioè una nuova tempesta sui prezzi del greggio – forse in prossimità dell’inverno – che quell’apertura contribuirà a alimentare.