Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2015
Piano Juncker, «entrano» le autostrade. Almeno 2 miliardi di nuovi finanziamenti entro la fine dell’anno sui progetti Autovie Venete e Pedemontana, e su nuovi prestiti alle Pmi. Ecco la fetta italiana della grande torta che promette di sbloccare investimenti aggiuntivi in Europa per 315 miliardi in tre anni
Almeno 2 miliardi di nuovi finanziamenti entro la fine dell’anno su due progetti infrastrutturali per la rete autostradale, Autovie Venete e Pedemontana, e su nuovi prestiti alle Pmi. È questa la grandezza della prima fetta italiana che sarà tagliata nei prossimi mesi sulla grande torta del Piano Juncker, il progetto che – tramite le garanzie EFSI (Fondo europeo per gli investimenti strategici) promette di sbloccare investimenti aggiuntivi in Europa per 315 miliardi in tre anni. Il Piano Juncker in verità sta decollando lentamente ed è prevedibile che la sua velocità di crociera resti bassa, inadeguata rispetto alla reale necessità di aumentare alla svelta in Europa e in Italia gli investimenti per rafforzare una crescita troppo fragile, senza gravare sui debiti pubblici nazionali. Ma l’equivoco iniziale è ora chiarito: i finanziamenti del Piano Juncker non sono come i fondi strutturali né tantomeno prestiti a fondo perduto. Si tratta a tutti gli effetti di finanziamenti «a condizioni di mercato» concessi da Bei o Fei ed erogabili solo su progetti «bancabili» e con controparti affidabili, con una rischiosità che però viene ridotta grazie all’uso delle garanzie del l’EFSI per aumentare la leva.
Spetta all’Italia, semmai, modernizzarsi e adeguarsi per poter bussare con successo alle porte del Piano Juncker ed evitare così che i finanziamenti disponibili vengano accordati a chi è più capace o più affidabile o più veloce, come i Paesi “core” o la Spagna: dovranno dimostrarsi all’altezza della situazione le piccole e medie imprese italiane, non abituate a finanziarsi sul mercato dei capitali e del venture capital, così come i progetti infrastrutturali italiani che sono soliti disattendere ampiamente gli obiettivi di costi e di tempi.
Mef, Bei, Cdp e con loro il Fei (Fondo europeo degli investimenti sul lato equity) e le banche, tutti sono impegnati per affinare il tiro italiano sul Piano Juncker: allestendo piattaforme specializzate per standardizzare procedure, modelli e best practice e investendo in joint-venture transfrontaliere con progetti comuni tra Paesi.
«Al Mef con il Mit (Ministero per le Infrastrutture e i Trasporti) stiamo lavorando con Bei e Cdp per le infrastrutture, contiamo di portare in delibera due progetti per la rete autostradale entro ottobre (ndr Autovie Veneto e Pedemontana)», ha detto ieri Stefano Scalera, consigliere del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. «Tramite il Fei e le banche italiane puntiamo a sostenere le Pmi, nell’ambito del Piano Juncker. Inoltre abbiamo avviato progetti comuni con Francia e pensiamo di partire anche con l’Olanda per finanziare operazioni crossborder con garanzie EFSI. Infine stiamo studiando nuovi progetti bilaterali con la Germania per ottenere insieme i finanziamenti con il Piano Juncker», ha aggiunto Scalera.
Un po’ per colpa del sistema tortuoso del Piano Juncker (che è partito con l’ambizione di usare 21 miliardi di garanzie per aumentare la leva a 15 volte), un po’ a causa delle lungaggini del sistema-Italia, agli atti finora a favore di nomi italiani, sotto il cappello del Piano con garanzia EFSI, risulta solo un prestito Bei da 100 milioni ad Acciaierie Arvedi, per modernizzare gli impianti (smuovendo stanziamenti complessivi per 227 milioni). Nei giorni scorsi è stata la volta del primo accordo “Cosme” in Italia, e secondo in Europa, con firma tra il Fondo europeo per gli investimenti e Credem, assistito da Finint: la garanzia EFSI in questo caso permetterà all’istituto di incrementare, nei prossimi due anni, il volume delle erogazioni a favore delle Pmi che – in assenza della garanzia – riceverebbero meno credito. Credem metterà a disposizione un plafond da 550 milioni a beneficio di oltre 14mila imprese. Stando a fonti bene informate, anche Intesa San Paolo e Unicredit starebbero studiando operazioni simili: il grande salto di qualità sulle Pmi italiane è comunque quello di consentire al Fei (che opera sull’equity) di lavorare assieme ai fondi di venture capital, un segmento dove l’Italia è particolarmente arretrata, per rafforzare il capitale e aumentare le dimensioni delle imprese italiane troppo piccole per internazionalizzarsi.
Sul fronte delle infrastrutture, dell’efficienza energetica, inoltre, non è escluso che la Cdp possa fare di più in futuro sotto il cappello del Piano Junker. Stando a fonti Bei, agli inizi di settembre è già in programma una prima riunione tra i vertici della Bei e i nuovi vertici della Cassa proprio per affrontare le tematiche collegate all’operatività comune nel Piano: l’intervento EFSI, con la sua dote da 21 miliardi (di cui 5 miliardi versati dalla Bei che però ha ridotto il suo capitale), consentirà a Bei e Fei di finanziare controparti o progetti più rischiosi rispetto al passato perché si accollerà la prima perdita (first loss piece). Il Piano Juncker è l’unico strumento nuovo messo in pista dall’Europa per finanziare la crescita senza incidere sui conti pubblici nazionali (e quindi senza aumentarne il debito/Pil): l’Italia intende arrivare ad “almeno 2 miliardi” entro quest’anno per poi incrementare la fetta della torta facendo a sua volta leva su Cdp e Paesi core.