Corriere della Sera, 18 agosto 2015
La storia secondo Pechino. In un colossal celebrativo della Conferenza del Cairo del 1943, i fatti vengono ritoccati per rivendicare il ruolo di primo piano dell’Armata popolare comunista nella vittoria contro i giapponesi. E così, all’incontro che vedeva il presidente americano Franklyn D. Roosevelt, il premier britannico Winston Churchill e Chiang Kai-shek, il leader nazionalista che guidò la Repubblica di Cina, ci è finito pure Mao che in Egitto non mise mai piede, perché nessuno lo aveva voluto invitare. Peccato però che molti dei 600 milioni di cinesi che vanno sul web conoscano la verità e non hanno esitato a usare l’arma del ridicolo contro l’ingenuo tentativo di glorificare ulteriormente e immeritatamente il Grande Timoniere. Una storia finita male
Nel settantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, i cinesi si stanno impegnando al massimo per rivendicare il ruolo di primo piano dell’Armata popolare comunista nella vittoria contro i giapponesi. Anche a costo di «ritoccare» la storia. Tra i grandi preparativi di contorno alla ricorrenza, che a Pechino sarà celebrata il 3 settembre con una parata sulla Tienanmen, c’è un film colossal dal titolo La Conferenza del Cairo. All’ombra delle Piramidi, nel 1943, il presidente americano Franklyn D. Roosevelt, il premier britannico Winston Churchill e Chiang Kai-shek, il leader nazionalista che guidò la Repubblica di Cina in quegli anni drammatici, tennero un vertice per unificare la strategia contro il Giappone.
Ma al centro dei poster pubblicitari della «Conferenza del Cairo», già affissi lungo le strade di Pechino, oggi c’è un uomo che non mise mai piede in Egitto, perché nessuno lo aveva voluto invitare: Mao Zedong. In quei giorni cruciali del 1943, quando la Cina nazionalista di Chiang Kai-shek veniva fatta sedere al tavolo dei Grandi, Mao e i suoi ufficiali comunisti erano in realtà asserragliati intorno a Yan’an, nelle campagne dello Shaanxi. Il protagonista della resistenza ai giapponesi era Chiang Kai-shek, ma i produttori del poster hanno dimenticato di inserire il generalissimo del Kuomintang. Tutto l’onore al presidente Mao (o meglio, all’attore abbastanza somigliante che lo impersona).
In un Paese come la Cina dove oltre 600 milioni di persone frequentano il web, capita però che molti conoscano la storia: e così migliaia di blogger hanno svergognato l’ingenuo tentativo di glorificare ulteriormente e immeritatamente il Grande Timoniere che fondò la Repubblica Popolare nel 1949. L’arma del ridicolo ha preso d’assalto il poster, che è stato ripassato al photoshop: al posto di Mao sono comparsi tra gli altri il faccione dello stravagante dittatore nordcoreano Kim Jong-un, l’iracheno Saddam Hussein, il mostriciattolo Gollum del Signore degli Anelli, una pornostar giapponese. Anche il volto di Xi Jinping, nato solo nel 1953, è stato infilato nei finti cartelloni, sopra la scritta «Tutti alla Conferenza del Cairo 1943».
Di fronte all’ondata di satira, anche la stampa governativa ha preso le distanze dalla produzione del film, che pure è di una casa cinematografica vicina al potente Esercito popolare di liberazione. In un commento il Global Times, giornale del partito, ha criticato l’uso «inappropriato» dell’immagine di Mao per pubblicizzare un film su un evento al quale il presidente non partecipò: «Il poster non mostra rispetto né per la storia né per Mao».
Ancora nel 1943 Mao era nella sua caverna a cercare di organizzare la guerriglia contro i giapponesi, ma soprattutto a preparare l’insurrezione contro il governo nazionalista. Si calcola che i combattenti comunisti abbiano sofferto un decimo delle perdite subite dai cinesi nella resistenza contro l’invasore giapponese. La stragrande maggioranza dei 3,8 milioni di soldati cinesi caduti facevano parte dell’esercito del Kuomintang comandato da Chiang Kai-shek. Anche per questo terribile prezzo di sangue pagato dai nazionalisti nella campagna contro i giapponesi, dopo il 1945, l’armata comunista potè prendere il sopravvento e costringere i resti del Kuomintang a fuggire a Taiwan. E si racconta che nel 1972, mentre il premier giapponese Tanaka, in visita a Pechino, si scusava per l’invasione, Mao gli rispose più o meno scherzando: «Non si scusi tanto, i vostri soldati distrussero il Kuomintang, aiutandoci a prendere il potere».
Oggi, per rendere alla Cina tutto l’onore di una lotta di resistenza disperata contro i giapponesi, il governo di Pechino è comunque disposto a riconoscere il ruolo eroico dei fratelli-nemici del Kuomintang: gli ultimi veterani sono stati invitati alla parata del 3 settembre. Anche se come sempre, la Tienanmen sarà dominata dal grande ritratto di Mao.