Il Messaggero, 18 agosto 2015
Il paradosso della Thailandia, paradiso per i turisti e teatro di colpi di Stato (diciannove) e violenze. Ogni anno attira 250mila italiani, con un’economia in crescita e una Capitale moderna dai grattacieli scintillanti, ma è anche un Paese piegato e ferito dalle divisioni interne e dalle distanze tra molto poveri e molto ricchi
Dagli scontri per strada al colpo di stato, fino ad arrivare alle bombe nel più importante crocevia dello shopping. Il paradosso, drammatico, della Thailandia è quello di un paese amato dai turisti, il più scontato dei paradisi sintetizzato dalla logora definizione del «paese dei sorrisi», che ogni anno attira quasi 250 mila italiani, con un’economia in crescita e una Capitale moderna dai grattacieli scintillanti, ma anche piegato e ferito dalle divisioni interne e dalle distanze tra molto poveri e molto ricchi.
INTRECCI
I cinque anni tumultuosi della Thailandia e di Bangkok possono essere raccontati partendo da due tragedie. La prima è la drammatica primavera del 2010: l’esercito intervenne per disperdere la protesta delle camicie rosse anti governative che da mesi stavano paralizzando Bangkok. Vu furono 91 morti e si sparò anche a Kao San Road, la storica strada dei backpackers, quella che compare nel film The Beach. Durante gli scontri andò a fuoco un’ala del centro commerciale Central World, a poche centinaia di metri dal luogo dell’esplosione di ieri, di proprietà dello stesso gruppo thailandese che in Italia controlla la Rinascente. Al vertice opposto dei cinque anni di tensione c’è l’esplosione di ieri nell’incrocio più frequentato dai turisti che vanno in cerca dei più belli centri commerciali dell’Asia, forse del mondo. In mezzo, ci sono anni tormentati, con le manifestazioni che per mesi hanno occupato Bangkok: nel 2010 protestavano i rossi pro Thaksin Shinawatra, nel 2013 i gialli, che contestavano Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin. Complicato? Di più, perché nello scenario va inserito il colpo di stato del 22 maggio 2014: il capo dell’Esercito, il generale Prayuth Chan-ocha da allora guida il Paese, ha sospeso la legge marziale solo un anno dopo, promette elezioni per il 2016. Nella storia della Thailandia i colpi di stato, tentati o riusciti, sono stati diciannove. Thaksin Shinawatra, potente multimilionario, leader di un partito populista, amato dalle classi rurali e più povere del nord, fu deposto da primo ministro nel 2006 da un altro colpo di Stato, condannato per corruzione e da allora vive in esilio all’estero. Avversato dalla élite e dalla classe media di Bangkok, ha preso la sua rivincita con la vittoria della sorella Yingluck, che fu eletta prima ministro nel 2011, ma poi, sull’onda delle proteste delle camicie gialle, fu rimossa dalla corte costituzionale e quest’anno è finita sotto processo. Proprio ieri – e qualcuno ha notato la coincidenza – Yingluck aveva scritto su Facebook un intervento molto critico sulla nuova costituzione che sta preparando la giunta militare.
IL RE
Sullo sfondo la figura, sacra e venerata, dell’anziano re, Bhumibol Adulyadej, 88 anni, sul trono da 69, la cui successione rappresenta un’altra incognita. Eppure, la Thailandia resta una delle mete preferite dai turisti di tutto il mondo che alimentano uno dei settori vitali dell’economia. Oggettivamente per gli stranieri è una meta sicura e accogliente, ancora economica (e non a caso la hit dell’estate di Baby K e Giusy Ferreri s’intitola”Roma-Bangkok” e a un certo punto recita «la vita costa meno trasferiamoci a Bangkok»). Gli italiani, appunto: ogni anno, nonostante tutto, la Thailandia viene visitata da quasi 250 mila italiani. In tanti vanno in vacanza, in molti vi lavorano, aprono ristoranti o bar. Ieri sera molte insegne dei locali di Patpong (uno dei distretti a luci rosse), di Silom o delle discoteche di Sukumvit soi 11 erano spente.