Corriere della Sera, 18 agosto 2015
Per un’operazione di terra in Libia servono 200mia uomini, ma l’Italia ne ha 10mila. Il piano che circola prevede tre fasi. All’inizio si dovrebbero creare le condizioni, con l’impiego delle forze aeree, per rendere il territorio accessibile. Poi bisognerebbe entrare fisicamente in Libia, cosa che secondo il generale Marco Del Vecchio «richiede un apporto umano imponente», e infine – più o meno dopo un paio d’anni – impegnarsi nella stabilizzazione del Paese. Per il generale Dino Tricarico un intervento del genere «sarebbe una follia»
Fino a sei mesi fa i piani erano pronti. Ora, dicono al vertice delle Forze armate, quei piani vanno rivisti, perché le cose sono diventate ancora più complicate da quando sulla scena è comparso in modo prepotente l’Isis. Ma che tipo di intervento si immagina? Si dà per scontato che una missione approvata dall’Onu sarebbe guidata dall’Italia. Tra Esercito, Marina e Aeronautica il nostro Paese dovrebbe mettere in campo fino a 10 mila uomini. Sono pronti i parà della Folgore, gli specialisti del Col Moschin, gli incursori subacquei del Comsubin, i bersaglieri della Garibaldi. E gli altri Paesi che contributo darebbero? Quando invasero l’Iraq, gli americani si muovevano con un contingente di circa 250mila soldati. Per pacificare il piccolo Kosovo, il generale Marco Del Vecchio poteva contare su una forza di 50mila uomini. Andare in Libia, dice ora Del Vecchio, «richiede un apporto umano imponente». Gli esperti calcolano che per un’operazione di terra servono almeno 200mila uomini. Ma prima di un eventuale intervento di terra si pensa sia necessario mettere in campo agenti segreti in grado di disegnare una mappa completa e precisa della situazione. Un ruolo importante nella fase iniziale sarebbe svolto dai droni: l’Aeronautica italiana ne ha 12, capaci di scovare e colpire nuclei di terroristi. Il Mediterraneo davanti alle coste libiche sarebbe presidiato da uno schieramento di navi da guerra di varie nazioni sotto il comando della portaerei Cavour, mentre le forze aeree sarebbero concentrate a Trapani, Sigonella e nella base di Amendola, in Puglia. Secondo un documento che circola in ambienti europei, si pensa a un’operazione in tre fasi. All’inizio si dovrebbero creare le condizioni, con l’impiego delle forze aeree, per rendere il territorio accessibile. Seconda fase: entrare fisicamente in Libia, prendere il controllo dei centri nevralgici e dei pozzi di petrolio e assicurarne la difesa. A quel punto, più o meno dopo un paio d’anni, impegnarsi nella stabilizzazione del Paese. È realistico tutto questo? «Da militare – dice il generale Dino Tricarico – sconsiglio vivamente un intervento in Libia. Sarebbe una follia».