Corriere della Sera, 18 agosto 2015
La bomba nel centro di Bangkok. Un tubo riempito di esplosivo, di «almeno tre chili», nascosto sotto una panchina, nel cuore della città thailandese, ha ucciso turisti, stranieri e residenti. Diciannove persone sono morte sul colpo, altre poco dopo. Il capo della polizia Somyot Pumpanmuang: «Chiunque abbia piazzato questa bomba è crudele e intendeva uccidere. Mettere una bomba in quel punto significa volere vedere un sacco di persone morte». Le camicie rosse hanno smentito ogni loro coinvolgimento, si pensa ai militanti musulmani della «ribellione islamica» ma finora loro non hanno mai colpito fuori dal Sud del Paese
Un lampo ha illuminato il piccolo tempio di Erawan, dedicato a Brahma, la divinità hindu della Creazione. Poi un colpo sordo, potente, che ha fatto tremare il vicino albergo a cinque stelle, lo Hyatt Erawan, meta del bel mondo internazionale. Le 19 di ieri in una delle zone più frequentate della capitale thailandese. Turisti, stranieri e tanti residenti di Bangkok in uscita da uffici e centri commerciali. Un tubo riempito di esplosivo, «almeno tre chili», secondo le autorità, ha provocato una strage. Nascosto sotto una panchina, vicino al piccolo palco dove, ogni giorno, si esibiscono giovani ballerine il cui compito è favorire l’esaudirsi delle preghiere dei fedeli, l’ordigno ha ucciso sul colpo 19 persone: tra questi, due turisti cinesi e un filippino. I feriti sono oltre cento, molti gravissimi.
La scena che si è presentata ai soccorritori era spaventosa. «C’erano corpi smembrati ovunque – ha raccontato Marko Cunningham, un volontario neozelandese giunto sul posto con un’autoambulanza —. Mai visto nulla di simile: la bomba aveva lasciato un cratere di due metri».
L’attentato ieri sera non era stato ancora rivendicato ma per il vicepremier e ministro della Difesa Prawit Wonsuwan gli autori del gesto criminale «intendevano distruggere l’economia e il settore turistico». Di altro avviso il deputato Kraisak Choonhavan, figlio di un’ex premier-generale, e ora rappresentante dell’opposizione. «In questo momento – dice al Corriere al telefono – non è possibile indicare con precisione i responsabili. Però è un fatto che il Paese viva ormai nell’instabilità da tempo, mentre il confronto tra le camicie rosse fedeli al premier in esilio Thaksin Shinawatra e le camicie gialle vicine alla Casa regnante continua a essere aspro, a volte violento». Il politico thailandese ricorda anche come la Commissione anticorruzione stia «con grave ritardo» tentando di portare a giudizio sia Thaksin – al momento rifugiato a Dubai – sia la sorella Yingluck, ex premier estromessa dal potere dai militari a maggio di un anno fa. «Dico solo come ogni volta che per Thaksin e i suoi sodali si avvicina la resa dei conti giudiziaria, accade qualcosa di brutto».
«Chiunque abbia piazzato questa bomba è crudele e intendeva uccidere – ha dichiarato il capo della polizia Somyot Pumpanmuang —. Mettere una bomba in quel punto significa volere vedere un sacco di persone morte».
Accuse e contro accuse si sono sprecate in una Bangkok sotto choc per il sanguinoso attentato. Esponenti delle camicie rosse si sono affrettati a smentire ogni coinvolgimento. Mentre qualcuno ricordava la «ribellione islamica» tutt’ora in corso nel Sud del Paese, dove gli attentati sono all’ordine del giorno e hanno provocato dal 2004 oltre 6 mila morti. Ma, per la verità, i militanti musulmani non hanno mai colpito fuori dalla loro regione, al confine con la Malesia.
Comunque sia, dai vertici del governo militare si promette di «stanare i responsabili» di un simile massacro. Nessuno si illude che sia qualcosa di facile, in un Paese governato da una giunta militare che appare tutt’altro che disposta a cedere il potere ai civili e che, anzi, sta riscrivendo la Costituzione per allargare i poteri dell’esercito.