La Stampa, 17 agosto 2015
Quelle storie di falsi e falsari. Il caso dell’antiquario anarchico che truffò la Belle Époque. Nessun sospetto fu estraneo a Luigi Parmeggiani, Bel Ami dell’antiquariato, politico incendiario, forse spia. Ingannò il bel mondo europeo, amando l’arte e le donne
Nel cuore di Reggio Emilia c’è un palazzetto dallo stile eclettico-neogotico che racchiude una serie di opere d’arte (di cui parecchie false), la storia (molto romanzesca) di una vita e, a tutt’oggi, più di un mistero irrisolto. Stiamo parlando della Galleria Anna e Luigi Parmeggiani, realizzata tra il 1925 e il ’32 su progetto dell’ingegnere Ascanio Ferrari, il cui patrimonio è costituito dai manufatti artistici (dipinti, sculture, armi monete, gioielli e altri lavori di oreficeria) che Parmeggiani trasportò da Parigi alla città emiliana nel corso del 1924, e che vennero acquisiti dalla municipalità nel ’32, con tanto di visita in pompa magna del duce.
Senza scrupoli
Il suggello a un’esistenza rocambolesca, tra la cronaca nera, il giallo e l’estremismo ideologico, che catapultò dalla miseria e dai bassifondi fino ai salotti altolocati della borghesia europea della Belle Époque questo stranissimo e ambiguo personaggio, ladro, dinamitardo, falsario, trafficante e, alla fine, danaroso antiquario.
Il «falsario anarchico» Luigi Giovanni Francesco Parmiggiani, allora con la «i» al posto della futura «e», (1860-1945) nacque nella poverissima Reggio Emilia in una famiglia di braccianti. Due anni di scuole elementari e poi, poco più che bambino, l’apprendistato da calzolaio, da tipografo e il lavoro in un laboratorio di bigiotteria. Ben presto «attenzionato» dalle forze dell’ordine, Parmiggiani entrò rapidamente in contatto con i circuiti dell’anarchia, e fuggì dal Paese nel 1879 per sottrarsi al servizio militare.
Attraversò la Francia in lungo e in largo e, insieme alla sua convivente (la sarta Maria Carronis), a partire dal 1885 si stabilì a Parigi in rue Bert 42, trasformando casa loro in un ritrovo di ex comunardi, fuoriusciti italiani e anarchici estremisti il cui leader era un’altra «testa calda» di Reggio, Achille Vittorio Pini. Alcuni di questi diedero vita al gruppo de «Gli Intransigenti», che si collocò al di fuori del movimento anarchico ufficiale, teorizzando l’esproprio proletario e il furto come strumenti di lotta anti-borghese e sfornando vari libelli, tra i quali una sorta di prontuario operativo per terroristi, L’Indicateur anarchiste (che sarebbe stato redatto dallo stesso Parmiggiani).
Tra politica e criminalità
La banda di ultrà anarchici minacciò il socialista Camillo Prampolini e i suoi, col risultato di intensificare la sorveglianza della polizia francese che espulse dal Paese il Parmiggiani, il quale, nel frattempo, aveva tramutato il cognome in Parmeggiani. Il sedizioso riparò a Bruxelles, dove venne accusato di avere accoltellato un agente dei servizi segreti francesi; di lì scappò a Londra, ove si inserì negli ambienti dell’anarchismo inglese, per fare quindi ritorno a Parigi. Nel 1889 comparve a Milano, e mise a segno con Pini una serie di attentati terroristici (in diverse città dell’Emilia e della Romagna ferirono a coltellate o pestarono alcuni esponenti in vista del socialismo riformista e, per un pelo, sfuggì a un loro agguato lo stesso Prampolini).
E qui il mistero si infittisce, perché la libertà di movimento dei due «balordi», il denaro di cui disponevano (e che ostentavano, visto che Parmeggiani aveva preso a vestirsi in modo molto costoso, con tanto di catene d’oro e anelli) e la scoperta che alcuni membri de «Gli Intransigenti» erano infiltrati diffusero il sospetto che il reggiano fosse un agente dell’Ufficio affari riservati. E, dunque, probabilmente un falso anarchico.
Rivoluzionario o spia?
Di sicuro, un falsario e un notevole mercante-trafficante di opere contraffatte perché, dopo varie fughe in giro per l’Europa, condanne e incarcerazioni per ulteriori atti terroristici, Parmeggiani riapparve di nuovo a Londra nel 1893, con l’identità dell’antiquario Louis Marcy, tombeur de femmes e amante della figlia di Victor, il titolare della galleria parigina «Maison Marcy» di cui divenne il rappresentante in terra britannica.
Nella capitale dell’Impero, sfoggiando un’eleganza molto vistosa, aveva fatto il suo ingresso nel gran giro, grazie all’inusitata protezione di Sir John Charles Robinson, sovrintendente del Victoria and Albert Museum e curatore della pinacoteca personale della regina Vittoria. «Protezione» che gli consentiva di vendere pezzi falsi (argenti antichi, nature morte e paesaggi di pittori fiamminghi o del Seicento olandese, spade che si volevano di Edoardo III piuttosto che della famiglia Borgia) a supercollezionisti privati come il banchiere John Pierpoint Morgan, e a musei del calibro del londinese British e del newyorchese Metropolitan.
L’artista contraffattore
La mente di questi traffici – come hanno ricostruito gli studiosi Claude Blair e Marian Campbell – era un colto pittore spagnolo, tal Ignacio León y Escosura, che concepiva i falsi, con tanto di contestualizzazione molto dettagliata, e li faceva realizzare, per poi venderli in combutta con Parmeggiani. Il quale continuò le truffe anche dopo la morte del socio di malaffare (avvenuta nel 1901), sposandone la vedova (di cui era già da tempo l’amante) e utilizzando altri artisti per realizzare le copie o le contraffazioni.
In concomitanza con la sua vertiginosa ascesa, Parmeggiani aveva anche lasciato gli ambienti anarchici, prendendo posizioni sempre più provocatorie per venire platealmente espulso. Ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi, come risaputo, e in quel clima internazionale di turbinosi commerci di falsi e antichità, i curatori e i direttori di istituzioni museali si erano fatti via via più guardinghi, mentre alcuni critici famosi cominciavano ad avanzare dei dubbi sull’autenticità dei suoi oggetti d’arte.
Il ritorno in Italia
Così, la stella di Marcy-Parmeggiani si offusca e le sue finanze si dissestano, inducendolo a mettere in atto il «piano B»: fare ritorno in Italia, approfittando dell’amnistia dopo la vittoria nella Grande guerra. Cosa che avverrà nel 1922, dove, da lì a qualche anno, inizierà la storia della Galleria Anna e Luigi Parmeggiani. Post-scriptum: Anna, ovvero Blanche Leontine, era la nipote della signora Escosura in Parmeggiani, che il sessantenne genio del male aveva sposato (lei trentanovenne) qualche anno prima, nel ’20, dopo la morte della zia (e già sua moglie), per blindare sotto il profilo ereditario la proprietà della collezione. Già, proprio «un ingegnoso farabutto», come lo ha definito lo storico dell’arte Alvar González-Palacios.