Il Sole 24 Ore, 17 agosto 2015
Così le tasse locali schiacciano il Centro-Sud. In pratica, nelle aree del Paese dove la ricchezza è inferiore si è scatenata una spirale perversa tra bilanci pubblici zoppicanti e aliquote in crescita, con il risultato che in rapporto al reddito il carico fiscale è maggiore dove la qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni regionali e locali è più in affanno. Campania e Lazio ai vertici della pressione fiscale prodotta da Regioni, Province e Comuni
Prima il federalismo ha gonfiato il ruolo delle tasse locali, poi la crisi di finanza pubblica ha impedito di compensare questa dinamica con l’alleggerimento del fisco locale, e quello che doveva essere uno spostamento del carico fiscale dal centro alla periferia si è trasformato in una duplicazione di imposte fra Roma e i territori. Un problema non da poco, che si aggrava quando si guarda alla sua geografia, perché a pagare il federalismo dimezzato sono stati chiamati prima di tutto cittadini e imprese delle regioni del Sud: in pratica, nelle aree del Paese dove la ricchezza è inferiore si è scatenata una spirale perversa tra bilanci pubblici zoppicanti e aliquote in crescita, con il risultato che in rapporto al reddito il carico fiscale è maggiore dove la qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni regionali e locali è più in affanno.
Questo capitolo ulteriore della “questione meridionale” emerge dall’analisi condotta dalla Banca d’Italia sugli effetti congiunti di tributi, addizionali e aliquote presentate da Regioni (che hanno ovviamente il ruolo da protagonista), Province e Comuni. Su questa base, i tecnici di Via Nazionale hanno ricostruito la storia fiscale 2012-2014 di tre tipologie di famiglie nelle diverse regioni italiane, mettendo insieme il pacchetto delle dieci tasse chieste a ciascuna di loro dagli enti territoriali: nel caso del fisco provinciale e locale, l’indagine calcola la media della pressione fiscale che le famiglie-tipo incontrerebbero nei diversi capoluoghi della regione.
A pagare la crisi dei bilanci locali, e soprattutto le misure fiscali messe in campo per puntellarli, sono state soprattutto le famiglie del ceto medio e medio-basso: le cure si sono sentite soprattutto al Centro-Sud, dove le tasse chieste da Regioni, Province e Comuni arrivano spesso a chiedere una quota che oscilla fra il 6 e l’8% del reddito disponibile. In poche parole, il fisco territoriale ha perso da tempo il ruolo marginale che ha giocato per molti anni, e questo si sapeva, ma il suo rigonfiamento ha messo a dura prova anche i meccanismi di progressività che dovrebbero guidare la tassazione. Un bel problema, anche per una politica che fa sempre più fatica a mantenere la propria popolarità e a far capire dove vanno cercate davvero le responsabilità di un’evoluzione fiscale più aggrovigliata.
Il rapporto percentuale fra tasse e reddito è l’indicatore più significativo, perché misura il peso reale dei tributi locali, e mostra bene che quello locale è un fisco al contrario. Per capirlo basta guardare i dati della famiglia intermedia, che secondo i calcoli di Bankitalia rappresenta la sintesi del nucleo familiare medio italiano. Le tasse territoriali più elevate si registrano in Campania, la regione che insieme al Lazio combatte per la prima posizione anche per quel che riguarda gli altri profili. Nelle parti alte della graduatoria si incontrano, poi, Calabria, Molise, Abruzzo e Sicilia, accanto a un Piemonte caratterizzato da anni di difficoltà nei conti della Regione e di molti Comuni, e alla Liguria. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, cioè le aree più ricche del Paese “a statuto ordinario”, sono più in basso e a fondo classifica si colloca stabilmente la Valle d’Aosta.
Anche l’analisi del conto presentato alle diverse tipologie di famiglia (si veda il grafico per la descrizione puntuale dei tre profili) conferma i tanti tratti paradossali della fiscalità locale. Gli aumenti che si sono accumulati fra 2012 e 2014 hanno colpito soprattutto la famiglia “media”, che si è vista chiedere l’anno scorso il 5,9% in più rispetto al 2012, mentre il più benestante fra i profili esaminati da Bankitalia ha subìto un aumento di tasse “solo” dell’1,8 per cento. Certo, in valore assoluto il conto complessivo presentato alle due famiglie rimane molto diverso, e passa dai 1.943 euro chiesti nel quadro nazionale alla famiglia media ai 7.516 prelevati alla famiglia “benestante”. La forbice tra i due, però, tende a ridursi e, soprattutto, il profilo più ricco è rappresentato da due liberi professionisti, che pagano in totale 3.191 euro all’anno di Irap. Se l’indagine si fosse concentrata solo su lavoratori dipendenti, come quelli che compongono la famiglia media, le distanze si sarebbero rivelate molto più sottili.
Nel panorama esaminato dai tecnici della Banca d’Italia c’è però anche un terzo tipo di famiglia, caratterizzata da entrate più modeste (reddito imponibile complessivo da 18.250 euro all’anno contro i 43.127 della famiglia media e i 113.480 di quella benestante). A segnare l’orizzonte fiscale di quest’ultimo profilo è la casa di proprietà, che nonostante il reddito non è un’abitazione modesta (100 metri quadrati). Questo spiega il fatto che per loro il 2014 è stato un po’ più leggero rispetto al 2012 dal punto di vista del Fisco locale, perché la Tasi ha chiesto 80 euro in meno dell’Imu del 2012. Dato il reddito modesto e l’assenza di auto, che alimenta il Fisco provinciale, questo bonus riesce a determinare una diminuzione del 5,2% nel carico complessivo. Non basta, però, a ridare un po’ di progressività all’effetto combinato delle tassazioni locali, per due ragioni: alla famiglia benestante, per esempio, lo stesso passaggio da Imu a Tasi ha offerto uno sconto maggiore (146 euro), perché la casa è di 140 metri quadrati anziché di 100, per cui se la nostra famiglia-tipo abitasse in una casa più piccola (per esempio, un bilocale in periferia) si vedrebbe con tutta probabilità affibbiare un aumento anche rispetto al 2012. Se poi il confronto fosse stato effettuato con il 2011 anziché con il 2012, i risultati sarebbero stati parecchio diversi.
Sempre per effetto della tassazione sulla casa, infatti, la pressione fiscale sulla famiglia caratterizzata dal reddito più basso è cresciuta del 33% (al netto di ulteriori variazioni nelle altre aliquote), contro il +6,5% subìto dal nucleo più benestante e il +15,3% da quello intermedio. I tanti travagli vissuti dal mattone, quindi, hanno dato il loro contributo a fare della tassazione locale un fisco al contrario. La prova del nove arriva dall’incidenza delle tasse locali sul reddito disponibile, che per la famiglia più modesta è del 5,3% contro il 4,7% registrato nei conti della famiglia media.