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 2015  agosto 17 Lunedì calendario

Evasione, è scattata la corsa al rimpatrio dei capitali in Italia: 3 miliardi di gettito. Il governo ha reso la procedura più conveniente con costi dimezzati. In vista un’accelerazione delle richieste a settembre. Ma, ad esempio, bisognerà segnalare anche i nomi degli amanti se si vuole far pace con il fisco

Il racconto dell’avvocato, uno dei principali in Italia che si sta occupando del rientro dei capitali dall’estero, è più o meno di questo tenore. Per convincere il cliente recalcitrante a rimpatriare i suoi soldi nascosti in Svizzera si fa dire per prima cosa qual è la cifra in ballo. «Sono cinque milioni», risponde il cliente. «Bene», dice l’avvocato, «a differenza sua io cinque milioni non li ho ma», aggiunge, «io e lei siamo esattamente nella stessa condizione, perché nessuno di noi due li può spendere». La ragione è semplice. È nascosta nelle pieghe delle durissime normative anti evasione e anti riciclaggio che, dopo la campagna dell’Ocse contro i paradisi fiscali, in tutto il mondo stanno trovando spazio nelle norme nazionali. Italia compresa.
IN SVIZZERA
«Dal mese scorso», spiega Fabrizio Vedana, vice direttore generale dell’Unione fiduciaria, «in Svizzera l’evasione è diventata un reato penale, e dunque i funzionari di banca che non segnalano operazioni sospette possono essere imputati». Così hanno iniziato a chiedere ai clienti di giustificare l’origine dei loro soldi. Chi non lo fa viene invitato a chiudere il conto. Una rivoluzione in un Paese in cui, secondo le stime, sono custoditi tra 120 e 200 miliardi di soldi italiani nascosti al Fisco. Insomma, il cliente di cui sopra non potrà far altro che contare i suoi cinque milioni, perché con le nuove procedure di segnalazione automatica, come proverà ad investirli, a comprare un immobile o un bene di lusso, finirà per essere intercettato dal Fisco. A meno che non aderisca alla procedura di «voluntary disclosure», la procedura di rimpatrio dei soldi varata dal governo. Un meccanismo così efficace che nelle nuove condizioni dettate alla Grecia per ottenere gli 86 miliardi di aiuti europei, l’ex Troika ha chiesto che anche Atene, come già ha fatto Roma, adotti una normativa simile.
I CONTEGGI
In realtà, in Italia, il rimpatrio dei capitali ha avuto un avvio lento. Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia, al mese di maggio risultavano presentate solo 1.800 domande per un importo complessivo di meno di 300 milioni. Una goccia nel mare, anche considerando che il tempo a disposizione per regolarizzare le posizioni sta per scadere: la dead line è fissata al prossimo 30 settembre. Il governo però, non si è strappato i capelli. A luglio è stato aggiunto il tassello più importante che mancava per assicurare il successo dell’operazione: una norma sul raddoppio dei termini di accertamento. In estrema sintesi si tratta di un consistente sconto a chi riporta i soldi in Italia. La voluntary non è una sanatoria, perché per regolarizzare i capitali è necessario pagare tutte le tasse evase. L’unico sconto è sulle sanzioni e sugli interessi. Però le tasse vanno pagate solo sui periodi per i quali il Fisco può effettuare accertamenti. Fino a luglio, con le vecchie norme sul raddoppio dei termini, si poteva arrivare fino a 8-10 anni indietro.
GLI ARRETRATI
Con la limitazione introdotta, invece, il Fisco potrà chiedere le tasse arretrate solo degli ultimi 4-5 anni. In pratica il prezzo per far emergere i capitali si è dimezzato. Per ognuna delle domande già presentate, secondo gli avvocati d’affari che si occupano della procedura, ce n’erano almeno dieci in attesa della norma sul raddoppio dei termini. Da qui a settembre, insomma, per la volutnary ci sarà un’accelerata. Il governo non ha mai fatto stime di quanto conta di incassare per i conti pubblici, ma al Tesoro ci sarebbe la ragionevole certezza di poter arrivare con facilità ad almeno 3 miliardi di euro. Anche perché 1,4 miliardi sono già impegnati da due clausole di salvaguardia, una vecchia risalente al governo Letta per scongiurare l’aumento di acconti Irpef e Ires. Ed un’altra più recente per evitare un aumento delle accise legato alla bocciatura da parte dell’Europa della normativa sull’inversione contabile per l’Iva. Ma visti i tempi lunghi con cui la macchina del rientro dei capitali è stata avviata, sul tavolo di Pier Carlo Padoan ci sarebbe anche l’ipotesi di una mini proroga fino alla fine di dicembre. Una proroga che potrebbe avere due forme: una soft, dando semplicemente più tempo per perfezionare l’adesione per la quale la scadenza rimarrebbe settembre, e una più hard, che invece concederebbe l’extra time ma con un inasprimento delle sanzioni.

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La signora se ne era scordata. Quei trenta appartamenti in Perù che il padre le aveva lasciato in eredità insieme al fratello, le erano passati di mente. «Ce ne siamo accorti che li possedeva», spiega dietro richiesta di anonimato il noto tributarista, incaricato di regolarizzare quegli immobili nell’ambito della procedura di riemersione dei capitali, «perché su uno dei tanti conti arrivavano gli affitti di quelle case». E non è che una delle tante storie, al limite dell’immaginazione, con cui i professionisti impegnati nella «voluntary disclosure», il rimpatrio volontario dei capitali e dei beni detenuti all’estero, si stanno confrontando. Questo perché la procedura si basa su un postulato: chi vuol regolarizzare la sua posizione con il Fisco, non può nascondere nulla, deve vuotare il sacco fino all’ultimo granello. La signora non è l’unica ad avere avuto qualche defaillance. Più d’uno, conferma il professionista che sta lavorando al rimpatrio, «a volte non sa di avere un certo conto, e capita anche che sia a sei zeri. Ce ne accorgiamo ricostruendo tutti i movimenti», dice. «Per molti dei nostri concittadini che hanno soldi all’estero, soprattutto in Svizzera», spiega ancora, «il vero choc è quando scoprono che devono compilare il cosiddetto Formulario A».
IL DOCUMENTO
Si tratta del documento nel quale deve essere annotata la storia di ogni conto corrente sotto il profilo dei soggetti autorizzati ad operare. «Dalla lettura del Formulario, la cui produzione è obbligatoria ai fini della procedura», prosegue il noto tributarista, «emergono cointestazioni con gli ex coniugi, procure rilasciate ad amanti in anni passati e poi revocate». Già, gli amanti. È il capitolo più sensibile. Per evitare di essere scoperti dalle mogli, spesso per mantenerle i concittadini danarosi hanno usato conti all’estero sui quali avevano concesso procure ad operare in modo da consentire alle amiche di poter pagare case, macchine, e altro. «Il punto è che chi accede alla procedura di rientro è obbligato a segnalare all’Agenzia delle Entrate tutti questi nominativi». La cosa, insomma, crea qualche imbarazzo. Ma i documenti potrebbero tornare utili anche in cause di separazione o di divorzio. Così come qualche coniuge potrebbe avere da ridire sulle ricostruzioni dei movimenti bancari, altro obbligo della procedura, che non di rado fanno emergere spese per viaggi, gioielli, alberghi, dei quali non si aveva conoscenza.
L’IDENTIKIT
L’altro dato che sta emergendo è che non c’è un identikit unico del connazionale che ha i soldi in Svizzera. C’è un’umanità molto varia che ha portato i suoi capitali tra Berna e Lugano. C’è il grande industriale che ha fatto la sua scorta di nero perché «non si può mai sapere e se mi succede qualcosa ho bisogno di stare tranquillo». Ci sono il tabaccaio, il commerciante d’auto, il gioielliere, ognuno che si è fatto nel tempo la sua riserva di cash con le più svariate motivazioni: nei tempi passati chi aveva paura dei comunisti o dei rapimenti. In quelli più recenti il timore più diffuso che ha fatto fuggire i soldi all’estero è stato quello dell’arrivo di una patrimoniale. E poi ci sono i gigolò, le prostitute, o i cittadini comuni che hanno ricevuto la più classica delle eredità dello zio d’America. E certo, ci sono i politici. Ma anche i magistrati. Segno che il conto cifrato in Svizzera ha fatto per molto tempo parte del costume, o del malcostume, italiano, come direbbe Totò, “a prescindere”.