Corriere della Sera, 17 agosto 2015
Il pm ha deciso che va dato in adozione il bambino della “coppia dell’acido” Martina Levato e Alex Boettcher. La mamma non ha neppure potuto vedere o allattare il neonato, le è stato portato via subito, mentre ancora era sedata dopo quindici ore di travaglio. Per la procura c’è una «irreversibilie incapacità a svolgere funzioni genitoriali». Per i familiari si tratta di «una crudeltà»
«Chiedo che il neonato venga dichiarato in stato di abbandono per totale e irreversibile incapacità e inadeguatezza del padre e della madre a svolgere funzioni genitoriali».
Intorno a queste parole ruota il ricorso con cui il pm Annamaria Fiorillo ha aperto l’iter per l’adottabilità del bambino nato dalla «diabolica coppia» dell’acido. In attesa che si pronunci, forse già oggi, il Tribunale per i minorenni, la mamma – Martina Levato – non lo ha neppure potuto vedere o allattare. Il figlio le è stato strappato subito. Portato via mentre ancora era sedata dopo quindici ore di travaglio e il cesareo.
«Un atto violento e brutale a scapito del piccolo», lo definisce il legale di famiglia Laura Cossar. «Una vergogna di Stato, un rapimento: a lui, innocente, viene negato il calore materno», si scaglia anche l’Unione Camere Penali Italiane. Per non parlare dei nonni, che hanno potuto incrociare il nipotino soltanto di sfuggita: «Martina non ha più occhi per piangere. Come si fa a sottrarre un figlio dalla madre che lo ha cresciuto per nove mesi in pancia – si commuove Vincenzo, papà della Levato —. Poteva essere una rinascita, invece è una crudeltà atroce».
Ma il pm di turno al momento della nascita, che nell’urgenza si è accollata la drammatica scelta, spiega che è proprio per proteggere il minore: «Occorre evitare ogni contatto con i genitori e la famiglia d’origine, perché i giudici siano liberi di scegliere il futuro che più lo tutela senza essere influenzati da relazioni o aspettative preesistenti». L’indicazione è basata sulle «perizie già agli atti» che escludono per Martina e il complice/papà Alexander Boettcher «qualsiasi forma, anche parziale, di incapacità di intendere e di volere».
In questo strazio di storia ora c’è un piccolo solo in culla, nell’angolo di un nido alla clinica Mangiagalli. L’unico senza targhetta con il nome.
E le opzioni sono tre. Se starà con la mamma o coi nonni crescerà con la prospettiva di entrambi i genitori in carcere per uno stesso reato, che in qualche modo riguarda anche lui. Perché proprio per prepararsi a essere una «brava madre» Martina aveva iniziato a «purificarsi» dalle sue storie passate. E con l’amante/complice, in parallelo all’idea del figlio, aveva concepito anche la devastante aggressione con l’acido a Pietro Barbini (la condanna in primo grado è a 14 anni). Secondo l’accusa poi, come parte di quello stesso piano sarebbero stati attaccati Stefano Savi e Giuliano Carparelli (il processo bis a settembre).
La terza altra opzione, per il bambino, sarebbe disporre l’affido a una coppia estranea alla famiglia, primo passo verso l’adozione. Cosa che i nonni vogliono scongiurare in ogni possibile modo. E che è discutibile per altri versi: se il bimbo viene riconosciuto, a 25 anni potrà comunque chiedere notizie dei suoi genitori naturali.
«Sono angosciata, temo gesti estremi di mio figlio – dice Patrizia Ravasi, mamma di Alexander —. Tutto questo è disumano». Il verdetto del Tribunale per i minorenni stabilirà intanto dove questo neonato passerà i prossimi mesi o anni, in attesa della decisione definitiva. In una comunità o casa famiglia, mentre Martina tornerà a San Vittore dove c’è il compagno? Dai nonni? Oppure all’Istituto a custodia attenuata Icam insieme a Martina, sua mamma, come era stato previsto dal pm Marcello Musso che ha coordinato le indagini (e per la pericolosità della ragazza si era invece opposto ai domiciliari)?
«L’interesse da perseguire è quello del minore che rischia di iniziare la sua vita con pesantissime ipoteche», è la voce del pm. Non quindi anche quello di riabilitare la madre dandole una possibilità. Ma è una storia che mette in discussione ogni possibile scelta.
Quando l’hanno arrestata otto mesi fa, Martina aveva il volto scavato, lo sguardo immobile e la «A» di Alexander tatuata sulla guancia. Ora quella lettera, sul viso arrotondato dai mesi di gravidanza, potrebbe richiamare il nome del figlio. Lei e Alex avevano pensato di chiamarlo Achille.