29 maggio 1861
Improvviso malore del conte di Cavour
Siamo alla fine. Quando s’era sentito male?
Il 29 maggio 1861. Quel giorno la seduta alla camera era cominciata con la lettura di un progetto del deputato Ricciardi. Si trattava di aprire una sottoscrizione nazionale, intitolata “Denaro d’Italia”, «coll’unico scopo di aiutare il governo nel compimento dell’impresa italiana». Il deputato Ricciardi era assente, il presidente Rattazzi dichiarò che bisognava aspettare il suo arrivo e fissare con lui il giorno del dibattito.
Seguì una discussione su certi benefici che erano stati concessi nel ’50 a chi aveva combattuto in difesa di Venezia. I democratici volevano che si estendessero anche a quelli della repubblica romana e Brofferio parlò appassionatamente in favore. Cavour si oppose con altrettanto accanimento. Sostenne che bisognava esaminare quel che ognuno aveva fatto dopo. Fece il caso di Enrico Cernuschi: «Avendo egli a Parigi un impiego molto lucroso, non credette doverlo abbandonare nel 1859 per venire ad offrir la sua spada nell’esercito regolare od irregolare». In effetti Cernuschi era diventato un banchiere.
Si scatenò il solito finimondo. Certi tasti, appena toccati, provocavano esplosioni. Conciliò tutti, ancora una volta, Nino Bixio, con quest’ordine del giorno:
«La Camera, udite le dichiarazioni dell’onorevole presidente del Consiglio, dichiara che tutti coloro che hanno combattuto per l’indipendenza nazionale hanno ben meritato della patria».
Uscirono mentre una voce monotona leggeva l’ordine del giorno dell’indomani: «Primo, ritiro delle monete erose in corso nelle provincie dell’Emilia, delle Marche e dell’Umbria, e loro cambio con nuove monete di bronzo. Secondo, riordinamento...».
Si ritrovò fuori e tutti si inchinavano per salutarlo. Era furibondo per la storia dei veneziani e dei romani, da lui giudicata come la solita faciloneria, la solita demagogia. Fece la strada fino a casa a passo veloce, salì su, pranzò con Gustavo e Ainardo, gli fecero dimenticare la seduta discutendo di Santena, dove bisognava far delle riparazioni. Gustavo, dopo la sconfitta di quella volta sulle spese, s’era calmato. Cavour, tenendo i conti giorno per giorno, gli aveva dimostrato che non erano affatto in miseria. E, per farlo ancora più felice, aveva acconsentito a diminuire il numero delle portate. Mangiò con gusto, andò a fumare il sigaro sul balcone.
Finito di fumare, si fece portare in carrozza da Bianca. Le aveva regalato una villa in collina, con una grande aia e la vista dei campi. Ma era comunque di cattivo umore, si fece portare una bevanda fresca e se ne andò via subito. Aveva mal di testa e desiderio di coricarsi il prima possibile.
Da molto tempo non riusciva a prender sonno. Ma stavolta si addormentò. Dormì sodo per un’ora. Passata quell’ora, si ritrovò sveglio, la testa fuori dal letto a vomitare. Il domestico del piano di sotto sentì i rumori e pensò che, come ogni notte, stesse facendo su e giù per la stanza, stesse parlando da solo a voce alta. Invece il campanello suonò con violenza. Quando il domestico arrivò su, Cavour era inginocchiato ai piedi del letto. Guardandolo, mormorò: «Mi sta venendo un colpo...» (leggi qui il racconto di Giorgio Dell’Arti)