La Gazzetta dello Sport, 15 agosto 2015
Ieri, 14 agosto 2015, giornata storica. Gli americani hanno riaperto al Malecon (sette piani in vetro e cemento) la loro ambasciata all’Avana, le relazioni diplomatiche, dopo 54 anni, sono perfettamente ristabilite

Ieri, 14 agosto 2015, giornata storica. Gli americani hanno riaperto al Malecon (sette piani in vetro e cemento) la loro ambasciata all’Avana, le relazioni diplomatiche, dopo 54 anni, sono perfettamente ristabilite. Per il commovente alzabandiera, è arrivato a Cuba il segretario di Stato John Kerry e con lui i tre marines, oggi ultrasettantenni, che, su ordine del presidente Eisenhower, ammainarono definitivamente il vessillo il 4 gennaio 1961. Ieri i tre (James Tracy, 78 anni, Larry Morris, 75, Mike East, 76) hanno provveduto a ritirarla su.
• Non ci sarebbe voluto anche un alzabandiera cubano in America, magari alla presenza di qualche Castro?
C’è stato lo scorso 20 luglio, a Washington. Con la partecipazione del ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez. Per qualche ragione, però, il vero momento storico è stato ieri, le stelle a strisce a sventolare sull’Avana.
• Che ha detto Kerry?
«L’alzabandiera simboleggia la ripresa delle relazioni diplomatiche con Cuba. Si mettono da parte le barriere e si esplorano nuove possibilità per il futuro. Non avete nulla da temere, i benefici saranno grandissimi quando permetteremo ai nostri cittadini di conoscersi, scambiarsi visite, idee. I nostri presidenti, Obama e Raul Castro, hanno smesso di essere prigionieri della storia. Il futuro dei cubani è nelle loro mani e in quelle del loro governo. Gli Usa continueranno a essere campioni di democrazia e continueranno a esortare il governo cubano al rispetto dei diritti umani. Voglio essere chiaro: aprire un’ambasciata non è un passo che uno Stato compie per fare un favore a un altro Stato. Lo si fa a beneficio della gente, su due livelli: di popoli e di governi. Come Stati Uniti, restiamo convinti che il popolo cubano sarebbe servito al meglio da una vera democrazia, con gente libera di scegliere i suoi leader, esprimere le sue idee, praticare la sua fede».
• Non ha detto niente sull’embargo? È quella la manna che aspettano i cubani, insieme con internet.
Kerry: «L’embargo resta in piedi, nonostante il forte impulso del presidente Obama. Solo il Congresso può rimuoverlo. Ma l’amministrazione si batte con forza per quell’obiettivo. Facciamo la nostra parte, ma chiediamo al governo di Cuba di rendere più facile ai cittadini agire. In fondo, l’embargo vale in due direzioni. Tutto ciò che divide i popoli è un crimine contro l’umanità». • Sarà dura però. So che i repubblicani vogliono dar battaglia, su questo e sull’accordo con Iran.
È di ieri una dichiarazione sferzante del senatore repubblicano Marco Rubio, che corre per la Casa Bianca e i cui antenati erano cubani fuggiti in America da Castro. L’Iran e Cuba, secondo Rubio, sono la prova che questa amministrazione è priva «di qualsiasi nozione strategica, morale ed economica in politica estera. La riapertura dell’ambasciata Usa garantisce al regime cubano la legittimità internazionale e una spinta economica sostanziale a beneficio della repressione. Obama non ha fatto alcuno sforzo per restare al fianco della libertà». Gli americani cercano di rimuovere queste obiezioni. I due Castro sono stati esortati a impegnarsi in materia di diritti umani, ad accettare il ritorno dei rifugiati ai quali è stato concesso l’asilo politico e a restituire ai cittadini statunitensi le proprietà nazionalizzate dopo la cacciata del dittatore Batista.
• Fidel Castro non s’è visto?
No, ma ieri ha firmato un editoriale molto polemico, in cui ha sottolineato come gli americani debbano a Cuba i «milioni di dollari» persi per via dell’embargo eretto attorno all’isola dopo la crisi dei missili russi del 1961. Ieri compiva 89 anni e ne ha profittato per farsi un giro, con Nicolas Maduro e Evo Morales, presidenti di Venezuela e Bolivia. I due sono campioni di antiamericanismo. Castro e Maduro sono andati in visita nella residenza che ospita Morales e hanno parlato per ore quattro ore di «rivoluzioni latinoamericane». Così almeno pretendono le agenzie. Le quali però riferiscono pure l’opinione di Yoani Sanchez, blogger e dissidente. Sanchez, come Kerry, invita ad «issare la bandiera e ammainare il passato». «Adesso - scrive - viene la parte più difficile. Sarà un tipo di cammino in salita nel quale non si potrà riversare la colpa dei nostri errori sul vicino del Nord. Inizia la fase in cui dobbiamo essere ciò che siamo e riconoscere perché siamo arrivati solo fino a qui».