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 2015  agosto 13 Giovedì calendario

Bologna dice addio al suo “Dondolo”. È morto a 73 anni Harald Nielsen. A Bologna in sei stagioni, dal ’61 al ’67, aveva invece fatto la storia, vincendo per due volte il titolo di capocannoniere e soprattutto l’ultimo dei sette scudetti del club emiliano, nel 1964. Il gol del 2-0, nello spareggio con l’Inter, fa parte dell’iconografia cittadina

«Bologna sa sempre commuovermi», aveva detto a settembre di un anno fa Harald Nielsen. Allo stadio Dall’Ara, prima di una partita di serie B, s’era ripetutamente inchinato davanti ad una curva di ragazzini che mai l’avevano visto giocare ma che non smettevano d’osannarlo. Gli stessi, insieme a tanti altri, che ora lo piangono, perché questo danese elegante, signorile, dal sorriso educato se n’è andato la notte fra martedì e mercoledì a 73 anni. Era malato e le sue condizioni nelle ultime settimane s’erano precipitosamente aggravate.
In Italia avrebbe poi giocato anche con Inter, Napoli e Sampdoria, ma senza lasciare tracce. A Bologna in sei stagioni, dal ’61 al ’67, aveva invece fatto la storia, vincendo per due volte il titolo di capocannoniere e soprattutto l’ultimo dei sette scudetti del club emiliano, nel 1964. Il gol del 2-0, nello spareggio con l’Inter, fa parte dell’iconografia cittadina, nella quale Nielsen, detto Dondolo per quella sua corsa ciondolante, occupa un posto d’assoluto rilievo. «Tecnicamente non era un fenomeno – ricorda Franco Janich, suo compagno e amico da una vita – ma la buttava dentro con regolare puntualità». Prima di consacrarsi in rossoblù, aveva partecipato con la nazionale del suo Paese alle Olimpiadi del ’60, giungendo in finale e segnando sei gol. Con quella maglia ne fece 15 in 14 partite, poi dovette smettere perché per giocarci ancora bisognava restare dilettanti. Lui invece, scegliendo l’Italia, era diventato un professionista. Al Bologna in 182 partite realizzò 104 gol. C’era il partito di Haller, dal punto di vista tecnico formidabile, e quello di Nielsen, predatore del’area di rigore. «Ma loro due – ricorda Romano Fogli, altro leader di quella squadra – in realtà si volevano bene, eravamo un gruppo molto unito, solo che i due di carattere erano un po’ diversi. Di Haller noi dicevamo scherzando che era un tedesco-napoletano, Harald un classico danese, molto riservato. Poi magari in campo a Haller piaceva dialogare nello stretto, Nielsen andava lanciato in velocità».
Era il Bologna di cui Fulvio Bernardini disse dopo un 7-1 al Modena nel 62-63: «Così giocano gli angeli in paradiso». Nei titoli prevalse la sintesi: “Così si gioca in paradiso”. Qui a Bologna non un semplice slogan ma una colonna sonora di un calcio che così bello non è più stato.