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 2015  agosto 13 Giovedì calendario

Se Hillary va in crisi per delle mail. Lo scandalo sull’uso del suo account privato si è trasformato in un’indagine penale dell’Fbi, con tanto di perquisizione alla società alla quale la Clinton aveva affidato la gestione della sua posta digitale, con il risultato che, su 40 mail esaminate, in due casi ha fatto circolare informazioni «top secret». E mentre la popolarità di lady Clinton crolla, quella di Bernie Sanders cresce sorprendentemente

 Doveva essere un semplice incidente di percorso: uno dei tanti dei quali è inevitabilmente cosparsa la corsa verso la Casa Bianca di un personaggio potente e ingombrante come Hillary Clinton. E invece, sei mesi dopo, il caso della gestione «disinvolta» dei suo traffico di email quando era segretario di Stato, sta diventando un caso che alimenta inchieste del Congresso e anche del ministero del governo Obama. Compresa un’indagine penale dell’Fbi che ha perquisito la società privata alla quale Hillary aveva affidato la sua corrispondenza digitale. E mentre la popolarità dell’ex first lady continua a calare (con la parallela, sorprendente crescita dei consensi per il suo unico avversario di qualche peso, il socialista Bernie Sanders), sulla Clinton cade un’altra tegola: dopo aver esaminato un primo campione di 40 email sulle 30 mila nelle mani degli investigatori, l’Ispettore generale per l’intelligence, un’autorità indipendente che si occupa del caso per conto del Congresso, ha stabilito che in almeno due casi (ce ne sono altri due dubbi) Hillary ha fatto circolare informazioni «top secret».
L’ex segretario di Stato aveva assicurato che nella sua corrispondenza non aveva mai inserito informazioni classificate. A marzo si era anche rifiutata di consegnare il suo server privato sostenendo che conteneva quasi esclusivamente scambi confidenziali col marito: materiale personalissimo, privo di interesse politico-istituzionale. Successivamente, gli uffici della Clinton avevano fatto sapere che 32 mila messaggi personali erano stati cancellati in considerazione della loro irrilevanza. Ma, dopo la denuncia dell’«Inspector general», tutto cambia. E infatti l’avvocato dei Clinton ha fatto sapere che Hillary ha ceduto: ha accettato di consegnare all’Fbi il suo server. «Non è un gesto magnanimo, è l’Fbi che l’ha messa alle strette» sostengono i repubblicani, mentre il capo dei conservatori in Congresso, John Boehner accusa: «Le affermazioni dell’ex segretario di Stato che aveva garantito di non aver mai usato informazioni classificate nei suoi messaggi si sono rivelate totalmente false. A questo punto è necessaria un’inchiesta molto approfondita».
Con la denuncia dell’Ispettore e la consegna del server si aprono scenari nuovi. Ora può succedere di tutto, anche se la campagna dei Clinton e il Dipartimento di Stato minimizzano: il team elettorale sostiene che l’inchiesta del dipartimento di Giustizia è un atto dovuto e non ha come obiettivo Hillary, mentre, secondo il ministero degli Esteri, per alcune delle email finite nel mirino degli inquirenti la riservatezza era solo suggerita: non c’erano divieti espliciti.
Quello che si è messo in moto è un meccanismo complesso e difficilmente controllabile. Cosa verrà fuori dal server? I tecnici riusciranno a recuperare i messaggi cancellati? Il contenuto delle conversazioni confidenziali tra Bill e Hillary verrà reso noto? Ce n’è abbastanza per tenere col fiato sospeso Hillary e anche il Partito democratico nel quale sono sempre di più quelli che si chiedono se sia stato saggio scommettere su un unico candidato per la corsa alla «nomination». Col risultato che le piazze dove va la Clinton sono semivuote, mentre quelle battute dall’«outsider» Sanders sono gremite: 28 mila l’altro giorno a Portland, in Oregon, 27 mila ieri a Los Angeles. In pochi giorni almeno centomila persone sono andate a sentire il senatore socialista del Vermont, un indipendente che punta alla Casa Bianca come democratico.
E intanto dai sondaggi del New Hampshire (il secondo Stato a votare per le primarie, dopo l’Iowa) viene fuori un incredibile sorpasso: Sanders 44 per cento, Clinton 37. La prospettiva suggerita dalle rilevazioni del momento non sono realistiche: non saranno Trump e Sanders a sfidarsi tra un anno per la Casa Bianca. Ma la semplice prospettiva fa gelare il sangue nelle vene a gran parte degli americani. Che però, evidentemente, sono stufi delle dinastie Clinton e Bush. Intanto sulla Cnn una beffarda stratega del fronte repubblicano suggerisce ai democratici di sfoderare il loro «Joe the Plumber», l’idraulico dell’Ohio «scoperto» nel 2008 da McCain per rilanciare la sua campagna. L’idraulico Joe dei democratici? Il vicepresidente Joe Biden, naturalmente.