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 2015  agosto 13 Giovedì calendario

Dopo il passaggio dalla Roma al Milan sono comparse scritte con minacce di morte per Alessio Romagnoli: «Laziale, finirai come Zanardi». Le frasi choc sotto casa dei genitori del difensore, nel mirino anche per la sua presunta fede biancoceleste

Si sa che a Roma il calcio è vissuto come una religione, e che questa religione sfocia talvolta in episodi al limite del paradossale. Indimenticabile il «tifo contro» dei tifosi laziali mentre l’Inter di Mourinho violava all’Olimpico la porta di Muslera, giusto per fare un dispetto ai romanisti in odore di scudetto. Leggendari episodi come il dito alzato di Chinaglia prima, e Di Canio poi, sotto la curva avversaria dopo un gol nel derby. Personaggi, gesta, goliardate che segnano la storia di una rivalità umana, prima che calcistica. Cose che «se nun sei de Roma nun le poi capì».
Ecco, nel calcio romano vissuto fuori dal campo però, non mancano e non sono mancati anche momenti beceri, offensivi, vergognosi. L’ultimo in ordine di tempo è quello che ha visto come protagonista Alessio Romagnoli, fresco di passaggio dalla Roma al Milan per 25 milioni.
Cresciuto nelle giovanili del club giallorosso non ha mai nascosto la sua ammirazione per una grande bandiera biancoceleste, Alessandro Nesta, col quale condivide la città natale (anche se l’ex blucerchiato è nato ad Anzio), la posizione in campo, il numero di maglia (il 13, scelto proprio in suo onore), la casacca rossonera e persino le movenze, tanto da esserne considerato l’erede naturale.
Proprio questa sua voglia di emulare Nesta ha innescato nell’ambiente del tifo romano qualche sospetto riguardo la sua fede calcistica. Laziale o romanista? Qualcosa che, se nasci a Roma e provincia, fa tutta la differenza del mondo. Impossibile trovare una risposta cercando sui social network tracce di un’esposizione eclatante da parte dello stesso giocatore. Qualche profilo fake, un paio di screenshot che circolano da tempo. E soprattutto voci, tantissime. C’è chi dice che sia laziale come tutta la sua famiglia. In dei vecchi virgolettati, però, si parla di «Roma fin da bambino».
È spuntato persino un selfie, appena dopo il suo imbarco per Milano, che lo ritrae con la maglia bandiera del -9, il Santo Graal per ogni laziale. Nulla di confermato dal giocatore, ma a qualcuno non importa, visto che quell’immagine è bastata per spingere degli squilibrati a imbrattare proprio la casa dei genitori di Romagnoli, sul litorale laziale, con scritte difficili anche da ripetere: «Romagnoli come Zanardi», «Presto il tuo funerale».
A prescidere dall’esempio scelto, visto che Zanardi è, effettivamente, un modello per tutti, si tratta di un esempio del lato oscuro di un tifo capitolino che pure in passato si era già manifestato. Il precedente più simile è quello di Fabio Liverani, romano e romanista, arrivato alla Lazio nel 2001. La sua fede e le sue origini africane (ha madre somala) hanno rappresentato un mix irreristibile per gli ultrà laziali più xenofobi che all’uscita da Formello fecero comparire scritte come «Maiale romanista», «Raus». Si potrebbe citare anche lo stesso Candreva, oggi simbolo della Lazio ma di comprovata (anche se l’ha rimangiato) fede romanista, cosa che suscitò non pochi mugugni al suo approdo in biancoceleste. E via così all’infinito. A Roma tutto è concesso, ma tale violenza verbale è disgustosa.
Chiunque vorrebbe sentire aneddoti diversi, che parlino sì di rivalità, ma di quella che fa sorridere. Chiedere a Roberto Muzzi, oggi nel settore giovanile della Roma, con la quale ha giocato anche da calciatore. Tifosissimo della Lazio, si presentò a Trigoria con l’aquila al collo, mandando su tutte le furie Bruno Conti. Il ciondolo, però, rimase al suo posto. E a Roma, ancora oggi, ci si ride su.