il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2015
Viaggio da Roma lungo la Pontina, in coda verso la spiaggia di Tognazzi. Tra ombre di grande cinema, asfalto, dune e clan. Prima del mare, una piana con i fantasmi di Fanfani e Sordi. Una volta incolonnati non si torna indietro
Quella a cui il serpentone d’auto trasformato in improvvisato speakers’ corner, tra moccoli e madonne invocate vanamente, dà voce e altera gli equilibri di coppia: “Nun ne vale la pena de venicce, te l’avevo detto, li mortacci de Marino”.
Quando a passo d’uomo, a un solo metro dall’apparizione dell’Arcangelo Gabriele, la carovana inizia a muoversi diradando forse per stanchezza, forse per distanza geografica gli insulti al sindaco di Roma, l’impressione resta comunque fantozziana. I chilometri scorrono lenti. Uno stop. Una fiammata illusoria. Una nuova sosta forzata. I villeggianti del mordi e fuggi, quelli che non si fermeranno a Lavinio, Anzio o a Sperlonga per più di 10 ore, li riconosci subito. Non hanno draghi di plastica né balocchi che emergono dal bagagliaio.
Con due asciugamani e la certezza di aver sbagliato orario, guardano nevroticamente l’orologio valutando il tempo che li divide dal ritorno nello spazio limitato di una city-car. I minuti dilatati. I cartelli stradali all’orizzonte. La voglia di fare marcia indietro nell’impossibilità di farlo. Stefano Gallerani, scrittore e critico letterario che ha esordito per Levieri con il celebrato e criptico Albacete, sulla Pontina, sulle sue trappole e sull’elezione dell’arenile giusto che da sempre spacca le scelte dei romani in due come una mela (a nord, verso Fregene, Civitavecchia e la Maremma o a sud, più in là dei cancelli di Ostia, verso l’Agro Pontino e Sabaudia) ha le idee chiare: “Attraversare il litorale romano – dice – è come essere fuori di sé”.
Ha ragione da vendere perché l’esperienza, mistica, richiede fideismo e perché anche abbandonata, la Pontina ti insegue con le sue memorie costringendoti a ricordare che un tempo, molto prima dei luna park di Abete, Della Valle e De Laurentiis dedicati al cinema e molto dopo la bonifica di tutti i canali Mussolini descritti da Pennacchi, il sogno del cinema, da queste parti, per merito di uno stretto parente di Aurelio arrivò davvero. Dinocittà, la risposta di Dino De Laurentiis agli americani e a Cinecittà, all’inizio era soltanto un numero. 50 ettari di terreno acquistati a fine giugno del ’59, poi inaugurati da Fanfani, Lizzani, Fellini e Sordi nel ‘62. Gente che tra le dune, sulla sabbia nera con il Tirreno arrabbiato sullo sfondo, si era persa fin dai tempi de Lo sceicco bianco mettendo tende e acquistando case tra le pinete. Nella zona, tra un ciak e una rimpatriata, registi e attori erano di casa. Roma e il suo mare, 50 anni dopo, hanno perso colore. Dev’essere per questo, dice Gallerani: “Che tutto sembra in bianco e nero, come nella memoria cinematografica che il luogo custodisce”.
Più probabilmente, per apprezzare davvero le sfumature, aggrapparsi a un sentimento è indispensabile. Per capirlo bisogna raggiungere Torvaianica. Dove secondo la leggenda sbarcò Enea e dove Wilma Montesi, con tanto di caso politico nazionale e conseguente giallo ancora oggi irrisolto, non trovò il proprio Virgilio e morì nella primavera del 1953. Venne ritrovata sulla battigia. Qui l’odore del mare è uno schiaffo che nasconde misteri e trame oscure e tira un filo nascosto che va dalla ragazza di via Tagliamento a Pasolini.
Si fa trovare, il mare. Bisogna svoltare leggermente a destra. Attraversare chilometri di campagna, mignotte, ristoranti e autovelox utili a rimpinguare le disastrate casse dei comuni limitrofi. Fendere Campo Ascolano e le sue case di frontiera, tutte rigorosamente protette dalle sbarre, ignorare le indicazioni per i delfini di Zoo Marine e a un tratto, confuso, quasi ovattato dal rombo degli aerei, incontrare il Villaggio Tognazzi. Maria Sole, la figlia di Ugo, passa ancora qui tutte le sue estati. Le piace, ti rivela mentre cammina rivolta alle onde che scuotono il luogo che suo padre scoprì mezzo secolo fa, una certa sensazione di marginalità.
Il posto, a Ugo, lo fece conoscere Luciano Salce: “Vicino all’aeroporto di Pratica di Mare e non lontano dalle dune di Capocotta”, disse Salce, “ci sono poche casette con i tetti di paglia. Facciamo un mestiere che ci costringe a stare vicino alla città e tanti, troppi film ogni anno. Garantiamoci un rifugio sicuro, questo è fantastico vieni a vederlo”. Tognazzi andò: “Lo trovò straordinario” e tra un torneo di tennis e un concorso culinario, cooptò al Villaggio “che ci intitolarono e non certo perché fosse nostro” una tribù che “si divertiva a stare insieme e che andava da Ruggero Mastroianni a Elio Petri”. Al Villaggio, per sfuggire alle estati romane, arrivarono Vittorio Gassman e Giovanna Cau, Ivo Garrani e in epoche diverse, anche Francesco Nuti. Poi Ugo se ne andò dopo Ultimo Minuto di Pupi Avati e su Torvaianica e dintorni, complice la speculazione edilizia, iniziò un’altra partita.
È quasi sera, Sabaudia è troppo distante. I fagottari rientrano lasciando la costa di Torvaianica pronta per un altro giorno di creme solari, ombrelloni riposti nelle macchine e sosia di Marilyn Monroe che offrono cozze a 10 euro dai pannelli pubblicitari. Tognazzi ama tutto questo e più in là di “uno dei tramonti più belli della costa” legge nel parziale abbandono di Torvaianica, nell’assedio delle mafie (ieri in spiaggia hanno arrestato Giuseppe Ammendola, detto Peppe ‘o guaglione, reggente dei Contini-Licciardi: se ne stava comodamente spalmato al sole) e nel confine invisibile che circonda ricordi, immaginazione e realtà, la sensazione di “un posto rimasto molto pasoliniano, lontanissimo dalla più borghese Fregene e anche per questo” giura Maria Sole Tognazzi “pervaso da un’affascinantissima decadenza”. A sua madre, Franca Bettoia “sembra Marrakech”. Fuori dalle case, in effetti, alcuni ragazzi nordafricani stendono i propri tappeti. Pregano. A un soffio dalla più vecchia pescheria del paese, il Bazar travestito da macelleria ha un’insegna araba. Vende carne, vestiti, scarpe, zenzero. “C’è una trasformazione oggettiva”, dice Tognazzi: “Ma sono rimasti gli stessi fiori viola della mia infanzia. Nascono dalle piante grasse, a fine maggio e la meraviglia dura soltanto pochi giorni”. Accade con tutto. Accade da sempre. Si torna in città: “Bisogna sapere quando farlo. All’ora giusta, possono volerci meno di 30 minuti”. Sale in macchina. Il mare avanza e poi ritorna indietro. Dal finestrino, le luci di Torvaianica, diventano sempre più fioche.
(1 – continua)